5. LA PRIMA GUERRA DEL GOLFO

17 gennaio 1991

Inizia l’operazione "Desert storm" con una serie di bombardamenti aerei sul territorio iracheno, compresa la capitale Baghdad.

18 gennaio 1991

La contraerea irachena abbatte un cacciabombardiere italiano "Tornado". I due piloti, il maggiore Gianmarco Bellini e il capitano Maurizio Cocciolone, sono catturati. Nella stessa giornata, l’esercito iracheno inizia un lancio di missili Scud contro Israele. Gli Stati uniti impediscono ad Israele di reagire, per evitare che la risposta militare israeliana possa causare il riavvicinamento dei paesi arabi all’Iraq.

19 gennaio 1991

Dopo oltre 4000 incursioni aeree, si conclude la prima fase della guerra aerea contro l’Iraq. Nelle principali città occidentali si svolgono manifestazioni contro la guerra.

3 febbraio 1991

Tutto l’Iraq è fatto oggetto di violenti bombardamenti.

12 febbraio 1991

A Baghdad giunge l’inviato sovietico Evgenij Primakov.

13 febbraio 1991

A Baghdad, un bombardamento aereo americano colpisce un rifugio, provocando oltre 500 morti civili.

15 febbraio 1991

L’Iraq propone un piano di ritiro dal Kuwait, che è però respinto.

18 febbraio 1991

Il piano di pace proposto dal presidente sovietico Mikhail Gorbaciov al ministro degli Esteri iracheno Aziz per il ritiro dal Kuwait è respinto dagli Stati uniti, che lo ritengono inadeguato rispetto alle condizioni imposte dall’Onu.

19 febbraio 1991

Bush pone l’ultimatum del 23 febbraio per il ritiro delle truppe irachene dal Kuwait.

21 febbraio 1991

Saddam Hussein afferma la volontà irachena di proseguire ad oltranza la guerra.

22 febbraio 1991

Il governo sovietico annuncia che l’Iraq accetta il piano di pace in 8 punti proposto da Gorbaciov, ma gli Stati uniti rifiutano ed il presidente americano George Bush conferma l’ultimatum a Saddam Hussein perché inizi il ritiro delle sue truppe dal Kuwait entro 24 ore.

24 febbraio 1991

Il Pentagono annuncia l’inizio di "una operazione terrestre di grande apertura contro le forze irachene in Kuwait". In Iraq, le forze militari americane iniziano l’attacco terrestre contro l’esercito iracheno.

25 febbraio 1991

Le forze irachene si ritirano dal Kuwait, decimate durante la ritirata da pesanti bombardamenti.

26 febbraio 1991

La coalizione occupa Kuwait City e penetra in territorio iracheno, impegnando le forze irachene in una battaglia non lontano da Bassora. L’Iraq accetta le risoluzioni dell’Onu.

27 febbraio 1991

Il presidente americano George Bush annuncia la fine delle ostilità in Iraq: "Il Kuwait è libero, l’esercito iracheno è disfatto. Il nostro obiettivo militare è stato raggiunto".

4-5 marzo 1991

Il maggiore Bellini e il capitano Cocciolone sono rilasciati: torneranno in Italia il 7 marzo.

marzo 1991

Nel sud dell’Iraq gli sciiti insorgono contro il regime di Saddam Hussein; nel nord si ribellano i kurdi. La repressione che seguirà sarà durissima, in particolare quella contro la rivolta kurda, e susciterà la condanna da parte della Cee e degli Usa, che però non interverranno.

3 aprile 1991

L’Onu approva la risoluzione 687 che stabilisce, come condizione per il definitivo cessate il fuoco, il riconoscimento della vecchia frontiera tra Iraq e Kuwait e la distruzione, da parte dell’Iraq, del proprio arsenale bellico.

5 aprile 1991

L’Onu approva la risoluzione 688 che condanna la repressione dei kurdi iracheni da parte del regime di Saddam Hussein: questa risoluzione darà il destro a Usa, Gran Bretagna e Francia per la creazione di una zona interdetta al volo degli aerei iracheni nel nord del paese. In questi giorni il governo iracheno e i rappresentanti kurdi firmano un accordo che riconosce autonomia ai territori abitati da questi ultimi.

6 aprile 1991

L’Iraq accetta le condizioni di resa imposte dalle Nazioni unite, che spogliano il paese delle sue disponibilità militari e destinano parte degli introiti petroliferi al risarcimento dei danni di guerra.

26 agosto 1992

Il presidente Bush annuncia unilateralmente l’istituzione di una nuova zona interdetta al volo degli aerei iracheni nell’Iraq meridionale, a sud del 32mo parallelo.

 

Sono importanti i mutamenti nella scena internazionale di cui la guerra contro l’Iraq è insieme inizio e sintomo. In questa crisi internazionale, oltre all’emergere degli Stati uniti come unica superpotenza mondiale dopo la fine della guerra fredda tra Ovest e Est, assistiamo per la prima volta all’alleanza di tutti i paesi industrializzati contro un paese del terzo mondo: esempio a futura memoria di come il Nord è intenzionato a risolvere i suoi rapporti con il Sud del mondo. Contemporaneamente riceve un colpo decisivo l’ideale dell’unità araba: nella grande coalizione contro l’Iraq si schierano gli altri paesi arabi (sulla stessa linea ideale di Israele), non solo quelli tradizionalmente filo occidentali, ma anche la Siria.

Per la popolazione dell’Iraq la tragedia non è certo finita. Il paese è distrutto dai bombardamenti, inquinato dall’uranio impoverito dei proiettili, strangolato da un embargo economico illimitato e vendicativo che non avrà fine e lascerà gli iracheni senza risorse alimentari, sanitarie, produttive.

a) Sanzioni economiche. Il 15 agosto 1991 il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, in parziale deroga all’embargo, autorizza l’esportazione di una parte del petrolio iracheno, ma si attribuisce l’amministrazione dei proventi, destinati in primo luogo alle riparazioni di guerra e solo in secondo luogo all’acquisto di beni di prima necessità (Oil for food). Gli stati membri inoltre hanno "facoltà" di scongelare i beni iracheni presenti sul loro territorio, purché destinati all’acquisto di cibo e medicinali. La risoluzione ha scarsi effetti; la quantità di beni scongelata è spesso irrisoria ( anche il governo italiano scongela, l’8 gennaio 1992, una quantità così modesta di beni iracheni da meritarsi un esposto – denuncia per pluriomicidio alla procura della repubblica di Roma da parte di un gruppo di cittadini indignati); inoltre gli acquisti che l’Iraq intende effettuare sono quasi sempre bloccati dal veto, in sede di comitato Onu per le sanzioni, di Stati uniti e Gran Bretagna, che accampano i più svariati pretesti per non far giungere al popolo iracheno stremato cibo e medicine essenziali.

Il 10 novembre 1994 Saddam Hussein riconosce tutte le risoluzioni Onu sul Golfo, compresa quella che proclama la sovranità del Kuwait, per ottenere una revoca delle sanzioni economiche, ma queste rimangono in vigore per volontà degli Stati uniti e assenso dei loro satelliti (Italia compresa, quando nel 1995 ottiene un seggio in Consiglio di Sicurezza) e sono negli anni seguenti sempre confermate e prorogate. Nel novembre 1995, un rapporto Fao segnala che, a causa dell’embargo, il tasso di mortalità infantile è aumentato dal 3% del 1991 al 12%, con 560.000 bambini morti dopo la guerra. A questo proposito, il 12 maggio 1996, durante un confronto televisivo, il giornalista Lesley Stahl domanda a Madeleine Albright, ambasciatrice americana presso l’Onu: "Abbiamo saputo che sono morti più di mezzo milione di bambini. Voglio dire, è un numero che supera quello dei bambini morti a Hiroshima. Mi domando se non sia un prezzo troppo alto"; la Albright risponde: "Penso che sia una scelta molto difficile ma il prezzo…noi riteniamo che il prezzo sia giusto". Nel novembre 1997 la norvegese Astrid Noeklebye Helberg, presidente della Croce rossa, dichiara che l’organismo da lei presieduto è seriamente preoccupato per le condizioni di vita dei bambini iracheni, rese precarie dalle sanzioni Onu. Secondo i dati dell’Unicef, i bambini denutriti sono 960.000. Nell’agosto 1998, l’ambasciatore americano Richardson afferma tranquillamente che "le sanzioni potrebbero restare in vigore per sempre". In Italia, il 21 giugno 2000, la camera approva con 302 si e 95 no la mozione di Achille Occhetto che impegna il governo a perseguire in sede Nato la fine delle sanzioni all’Iraq, a riaprirvi entro l’anno l’ambasciata italiana, ad attivare forme di aiuto e a sostenere un ponte sanitario: la mozione resterà lettera morta, nonostante sollecitazioni e proteste. Anzi, nel febbraio 2001, il governo italiano vieta un volo umanitario che dovrebbe portare in Iraq farmaci antitumorali, antibiotici, analgesici e altro materiale consimile, allegando a pretesto la mancata autorizzazione (assolutamente non richiesta!) del comitato Onu per le sanzioni: fortunatamente già da tempo Francia, Siria, Giordania e a volte Russia effettuano spedizioni di questo genere senza autorizzazione alcuna. Il 1 giugno 2001 il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, su richiesta americana, inasprisce ulteriormente l’embargo rinnovando per un solo mese, anziché per sei come in precedenza, il patto "Oil for food", rendendolo così praticamente inoperante.

b) Inquinamento e distruzioni belliche. Il 10 gennaio 2001, il governo iracheno chiede all’Onu e alle agenzie sanitarie internazionali di indagare sugli effetti delle munizioni all’uranio impoverito impiegate durante la guerra, denuncia un incremento anomalo delle leucemie, dei tumori (65%) e delle malformazioni congenite nelle zone bombardate, e afferma che l’uso delle armi all’uranio impoverito è da considerarsi un crimine di guerra, per il quale i responsabili andrebbero giudicati avanti a un tribunale internazionale.

L’Iraq è profondamente dissestato dai pesanti bombardamenti subiti nel corso della guerra. Il politologo C. Douglas Lammit, che ha l’occasione di visitare il paese, scrive su "The Nation" il 26 settembre 1994: "E’ uno scandalo contemporaneo, e non lo si dimentichi: mentre la ‘distruzione totale di città, villaggi e centri abitati’ rappresenta un crimine di guerra, il bombardamento delle città per mezzo di aerei non solo resta impunito, ma non viene neppure messo sotto accusa. Il bombardamento aereo è terrorismo di Stato, il terrorismo dei ricchi. Negli ultimi 60 anni ha provocato più vittime di quante non ne abbiano fatte tutti i terroristi insieme. Qualcosa ha addormentato le nostre coscienze rispetto a questo problema. Negli Stati uniti non potremmo considerare adatto alla presidenza un uomo che in passato ha lanciato bombe distruttive non solo contro un ristorante, ma anche contro tutti gli edifici intorno. Mi sono recato in Iraq dopo la guerra del Golfo e ho visto con i miei occhi ciò che hanno fatto le bombe: distruzione totale. Questa è l’espressione più adatta per definire l’effetto dei bombardamenti".

c) Aggressioni militari postbelliche. I bombardamenti e le aggressioni non sono finiti con la guerra. L’unilaterale istituzione delle ‘no fly zone’ fa sì che aerei americani, inglesi e, in un primo periodo, francesi continuino a pattugliare i cieli iracheni, pronti non solo ad abbattere qualsiasi aereo non rispetti l’arbitraria imposizione, ma anche a bombardare a terra al minimo pretesto: basterà loro, per esempio, essere inquadrati dai radar iracheni, anche senza nessuna minaccia della contraerea. La Turchia continua ad assicurare le proprie basi all’aviazione americana, inglese e francese per il controllo dell’Iraq settentrionale. Il 27 dicembre 1992, due F16 americani abbattono un aereo iracheno sotto il 32mo parallelo, e il presidente in scadenza Bush risponde alle rimostranze di Tarek Aziz ordinando che la portaerei Kitty Hawk, carica di missili, caccia e bombardieri, faccia ritorno nel Golfo.

Il 1993 si apre in un clima di tensione, dovuto al fatto che l’Iraq è restio a sottoporsi all’attività degli ispettori Onu, le cui modalità sono spesso poco rispettose della sovranità irachena; in ogni caso, dopo un ultimatum americano, l’Iraq accetta di ritirare alcuni missili di recente installazione; in seguito tuttavia l’esercito iracheno penetra nella zona smilitarizzata a nord del Kuwait e, tra il 13 e il 18 gennaio, Usa, Gran Bretagna e Francia bombardano postazioni missilistiche e insediamenti civili iracheni, causando morti e feriti; il 19 gennaio l’Iraq proclama un cessate il fuoco unilaterale e accetta le ispezioni Onu, ma il 26 gennaio gli Usa bombardano ugualmente Baghdad, per vendicare un fallito attentato a Bush.

Il 31 agosto 1996 l’esercito iracheno invade il territorio kurdo: per rappresaglia gli Stati uniti lanciano 27 Cruise. Nel febbraio 1997 gli Usa rendono noto di aver inviato altri F15 e F16 nel Qatar, in aggiunta agli oltre 200 che già si trovano nella zona del Golfo, Giordania e Bahrein, con funzione anti irachena. Sono episodi fra i tanti, segnali di una tensione che non cessa, e periodicamente si concretizza in nuove aggressioni militari. Nel 1998 la guerra è pronta a esplodere nuovamente.

 

9 febbraio 1998

Il presidente degli Stati uniti Bill Clinton e il primo ministro inglese Tony Blair premono per un nuovo attacco all’Iraq, che deterrebbe arsenali di armi non convenzionali. L’Arabia saudita non è disponibile a concedere le basi per l’attacco di terra e re Hussein di Giordania si dichiara contrario ad un’azione che colpirà il popolo iracheno. La Lega araba avanza una proposta di mediazione, secondo la quale gli ispettori potrebbero entrare nei siti che secondo gli Usa conterrebbero armi non convenzionali.

11 febbraio 1998

Il ministro degli Esteri italiano, Lamberto Dini, rispondendo ad un’interrogazione parlamentare di Rifondazione comunista, afferma che non ritiene di dover dichiarare la indisponibilità delle basi militari in funzione anti-irachena.

3 aprile 1998

Si concludono le ispezioni dell’Onu ai siti presidenziali iracheni, senza aver trovato nulla.

14 aprile 1998

L’Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica) sostiene che l’Iraq ha soddisfatto le richieste in merito al disarmo nucleare.

2 novembre 1998

Il presidente americano, Bill Clinton, torna a minacciare pesantemente l’Iraq per aver disposto la cessazione delle ispezioni Onu, sulla base del principio di sovranità nazionale.

16 dicembre 1998

Facendo seguito alle minacce di Clinton, l’aviazione angloamericana bombarda l’Iraq. Usa e Gran Bretagna asseriscono di aver colpito importanti centri militari, la cui esistenza peraltro non è stata dimostrata.

 

Questa nuova fase di guerra si conclude, ma i bombardamenti sul suolo iracheno continuano ormai a ripetersi, nel 1999, nel 2000, e non fanno neanche più notizia, a meno che non siano particolarmente eclatanti per la loro violenza o per gli obiettivi colpiti. Suscita una eco internazionale, invece, l’aggressione che colpisce l’Iraq il 16 febbraio del 2001, quando 24 aerei americani e inglesi bombardano postazioni radar situate alla periferia di Baghdad. Mosca e Pechino protestano duramente contro un bombardamento che non ha giustificazioni di sorta, tra i governi europei solo la Francia si unisce alla condanna. In Italia, il governo di centro sinistra si mostra come al solito acquiescente di fronte alla prepotenza Usa: all’interno della maggioranza la condanna è espressa solo da Verdi e Comunisti italiani, o da singole personalità in contrasto con i rispettivi partiti. Gli attacchi si fanno sempre più frequenti, sistematici, colpiscono obiettivi civili come campi sportivi (il 19 giugno 2001 a Talafra in provincia di Ninive, con la morte di 23 ragazzi) o produzioni agricole (alcune fattorie nel sud del paese, il 9 settembre dello stesso anno), ormai si ripetono ogni 3-4 giorni, anche prima di quell’11 settembre che gli Stati uniti sono pronti ad assumere come giustificazione di tutto: di ogni cieca vendetta, di ogni caduta di legalità interna e internazionale, di ogni violazione di trattati, infine di ogni piano per un più stringente controllo e dominio mondiale che, lungamente preparato in segreto, ora può essere portato avanti pubblicamente, spudoratamente, nella retorica della lotta al Nemico, al Terrorismo, all’Asse del Male.