Osama tradito (mmc – maggio 2011)

L’azione militare di Abbottabad, occasione per la Casa Bianca di celebrare uno strepitoso successo nella "lotta al terrorismo", ne ha fatto piuttosto scendere la credibilità tanto da indurre perfino l’Onu a derogare al ruolo di "foglia di fico" e chiedere chiarimenti. Non si tratta solo del naturale disgusto che suscita un’azione straordinariamente vile – una flotta aerea più unità di terra, 80 uomini scelti (solo più tardi si è fornita una cifra più bassa) armati fino ai denti contro uno solo, colto nel sonno, che al massimo disponeva di un kalashnikov. Si tratta anche, come noto, di un disastro comunicativo. La mancanza di un’immagine di Osama si intreccia con l’assurdità di immediati spari alla testa che l’avrebbero reso irriconoscibile nel volgere di un istante: quando mai occorre agire in modo siffatto da parte di decine di militari super armati contro un solo uomo? per di più se l’uomo è Osama bin Laden, se l’azione è diretta personalmente dal presidente degli Stati uniti, se dall’omicidio gli uccisori si aspettano un risultato politico straordinario? Inverosimile. Poi c’è stata la storia della sepoltura nell’oceano, distante centinaia di chilometri, male coperta dall’altra bugia sul funerale islamico da farsi in mare, quando nessun islamico lo celebra in questo modo. E ancora l’accavallarsi delle versioni su ogni aspetto del raid. Dove si trovava la vittima? al piano terra, poi al secondo piano. Osama era armato, poi era disarmato, poi armato di un solo fucile. Si è combattuto in ogni stanza, poi non s’è combattuto affatto, poi un po’ sì e un po’ no. Non sono rimasti testimoni vivi, in un secondo tempo ne resuscitano 4, poi 8, domani chissà. Il presidente e relativo staff hanno seguito l’azione in diretta minuto per minuto, facendosi fotografare con aria rapita, quindi spunta fuori un black out che ha impedito la visione per la metà del tempo. Le autorità pakistane hanno partecipato, poi ciò è stato negato, sia dalle stesse, con tanto di presunta offesa per non essere state avvertite, sia da quelle statunitensi, col capo dell’antiterrorismo a smentire il segretario di Stato. La credibilità degli Usa e del loro alleato pakistano è scesa ad un punto così basso che, se non fosse seguito il comunicato di al Qaeda sul martirio del suo capo e la designazione del successore, ancora impazzirebbero le ipotesi su quanto è accaduto, anche le più stravaganti.

La versione statunitense può così stare in piedi, solo perché avvalorata dal comunicato qaedista. E solo immaginando che, a dispetto del rilievo politico dell’azione e della sua direzione da parte della Casa Bianca, i marines (ed i loro capi) siano talmente sanguinari da non aver potuto trattenersi dal fare uno sfracello inguardabile, dall’avventarsi su un uomo disarmato nonché su donne, bambini e quant’altro si muoveva in quella casa, per farli a pezzi, così da mandare in tilt i responsabili politici quando si è trattato di spiegare al mondo, o meglio occultare, una simile schifezza. Passata qualche settimana, mi pare che l’unica versione alternativa ad avere credito, specialmente in Pakistan, sia quella che vuole Osama morto per cause naturali alcuni giorni prima del raid, fondata in partenza sulla testimonianza del suo medico. (Almeno, l’unica versione alternativa seria: non ritengo tali le ipotesi dei cosiddetti complottisti che immaginano Bin Laden alleato segreto degli Usa, l’11 settembre una creazione della Cia e simili assurdità). Questa variante pakistana – gli Usa avvertiti della morte di Osama qualche giorno dopo- spiegherebbe le contraddizioni sopra dette meglio della truculenza dei marines e spiegherebbe pure la fretta con la quale gli Usa si sono precipitati ad Abbottabad, con la relativa confusione segnalata, per simulare una vittoria sul campo che non poteva più esserci davvero. Spiegherebbe il blackout, come precauzione per salvare la faccia dei capi e buttare le colpe sui subordinati, putacaso qualcosa fosse andata per il verso sbagliato. Infine spiegherebbe nel migliore dei modi la querelle Usa- Pakistan, colpevole quest’ultimo di aver tradito Osama quando non c’era più. Per altro non spiegherebbe il comunicato di al Qaeda, se non immaginandone un accordo con il servizio pakistano, necessitato dal suo ruolo di proteggente di combattenti vivi e vegeti, a partire dal mitico mullah Omar. Un accordo non indigeribile, se un martirio è più eroico e bello agli occhi del mondo jihadista, più incentivante verso la lotta di una morte naturale, che per sé avrebbe potuto deprimere maggiormente il morale dei guerriglieri.

Sia come sia circa la dinamica dei fatti, l’unica cosa davvero inverosimile è l’ignoranza pakistana del soggiorno di Bin Laden ad Abbottabad come dell’azione statunitense. Inverosimile per chi sappia dell’efficienza dell’Isi, il servizio pakistano, nel controllare il proprio territorio e non solo (molti occidentali credono che la Cia sia onnipotente ed onnipresente e tutti gli altri servizi delle nullità, ma non è così). Inverosimile perché Abbottabad è una zona militare, non una zona residenziale e turistica come i media hanno cercato di far credere, e l’austera casa abitata dallo sceicco si trova vicino ad una caserma di importanza strategica. Non è credibile quindi la versione che vuole i radar pakistani spenti né quella dell’accecamento da parte statunitense. Credibile è invece che Osama Bin Laden sia stato tradito, da vivo o da morto, e che il Pakistan abbia inteso con questo, nel proprio stesso interesse, fornire agli Usa la possibilità di uscire da una guerra perduta. Perduta non tanto militarmente, se avesse senso usare in Afghanistan i canoni delle guerre convenzionali: lo sterminio di patrioti e civili afgani conta decine e decine di migliaia di vittime, contro poche migliaia di perdite tra le forze occupanti. Se si dovesse valutare una vittoria in base alle carneficine, allora gli Usa sono imbattibili ed hanno vinto pure in Vietnam ed in Iraq. Ma non è così. La vittoria sfugge agli Usa perfino dal punto di vista militare perché non riescono ad avere ragione di una resistenza più vivace che mai. E la vittoria politica sfugge loro completamente perché presuppone come minimo la caduta di credibilità del nemico e l’ascesa della propria, la stabilizzazione intesa come possibilità di influire sul paese conquistato senza più usare il terrore. In Afghanistan invece, dopo quasi 10 anni di occupazione, la popolazione odia gli occupanti, l’esercito e la polizia collaborazionista conoscono continue diserzioni, il governo di Kabul è screditato e gode di qualche considerazione soprattutto quando si contrappone a Usa/Nato. Per contro, è cresciuto il prestigio dei Talebani, pagato con il sangue versato come spesso accade alle forze di resistenza, benché essi siano impossibilitati a vincere militarmente nel senso tradizionale del termine.

Lo scambio immaginato dal Pakistan è stato dunque fornire, con il corpo di Osama, la possibilità agli Usa di esibire una vittoria, poiché la guerra contro l’Afghanistan è cominciata col pretesto dell’11 settembre. In cambio riottenere in Afghanistan quell’influenza che aveva precedentemente, ed in patria la sovranità perduta con i droni che ammazzano a tutto spiano e gli uomini della Cia (stimati in 2000 o 3000) a spadroneggiare. E’ su tali contropartite, non tanto sull’azione di Abbottabad, che si è acceso – o meglio riacceso- il contenzioso Pakistan- Usa. Perché questi ultimi, nella loro infinita arroganza, si comportano come il padrone col servo: ti pago (3 miliardi $ l’anno) quindi il tuo territorio è roba mia, vengo a prendermi chi voglio, faccio tutti i raid e le carneficine che voglio. Al discorso ‘offeso’ del primo ministro Yusuf Gillani ed alla risoluzione del Parlamento pakistano, con la richiesta agli Usa di sospendere subito i raid e la minaccia di contromisure, gli Stati uniti hanno risposto difatti con due carneficine in Waziristan causate da droni. Anche la falsa notizia, fatta circolare giorni fa, dell’uccisione del mullah Omar si può ritenere un "avvertimento". Anzi direi un avvertimento incrociato, con i servizi afgani a dire che del mullah si sono perse le tracce dall’ultimo rifugio conosciuto. Evidentemente non di un lapsus si tratta. Dunque gli Usa vogliono altre "consegne" ed i collaborazionisti resistono o almeno intendono rallentarle secondo i propri interessi. Le opposizioni pakistane sono sul piede di guerra, additano Asif Zardari come "burattino degli Usa", chiedono un governo credibile e indipendente. Si può concludere sul punto che, almeno finora, aver tradito Osama non ha portato al Pakistan i frutti sperati. E tutto sommato ben gli sta. Ma certamente quel governo continuerà a puntare agli obiettivi detti, dai quali dipende la sua stessa sopravvivenza. Per comprendere il contenzioso Usa- Pakistan- Karzai si dovrebbe infine considerare un aspetto spesso sottaciuto ma importante come i rapporti intrattenuti con la Cina. Da molti anni il Pakistan ha un ruolo nell’alleanza asiatica, conta sulla Cina per contrastare l’influenza dell’India, ne riceve forniture di armi ed ha interscambi di altro genere. A metà aprile una delegazione pakistana ai massimi livelli (comprendente il premier Yusuf Gillani, il capo dell’Isi Shuja Pasha e dell’esercito generale Parvez Kayani) ha visitato il governo Karzai a Kabul ed il colloquio avrebbe riguardato appunto il riequilibrio dell’influenza statunitense con quella cinese. Interessante è anche il messaggio del governo di Pechino a quello di Islamabad dopo il raid di Abbottabad, esplicitante l’appoggio cinese alla stabilità del Pakistan. Fatti che, uniti ai rapporti tra il governo afgano e quello iraniano ed ai contratti stipulati da Karzai coi cinesi, agli Usa non piacciono neanche un po’. Su tutto questo intreccio di rapporti si gioca il futuro di quella regione, nonché sull’esasperazione del popolo pakistano che potrebbe sfociare, anche qui, in una rivolta di massa.

Infine, nel trionfo occidentale -vero o presunto - celebrato con la morte di Bin Laden, rientra la dichiarazione perentoria che il jihad sia stato ormai sconfitto, spiazzato, oltre che dalla scomparsa del suo capo, dalle rivolte mediorientali. Ma anche questa è una simulazione perché in tutta quella regione lotta pacifica e lotta armata non si possono giudicare con gli occhi occidentali o dividere con l’accetta. Non è mai stato così e, ci piaccia o meno, non sarà così nel futuro. Per restare a Bin Laden basterebbe per convincersene leggere i suoi messaggi, nei quali jihad, critica all’occidente come ai governi arabi sottomessi e sollevazione delle masse sono strettamente intrecciati. In proposito un fatto che non ha ricevuto alcuna attenzione, ed invece mi pare significativo, è la sparizione- sostituzione dell’ultimo messaggio di Osama. L’emittente "al Arabyia" l’aveva annunciato come un inedito, inciso pochi giorni prima del raid di Abbottabad, e come una sorta di inno poetico alle rivolte in corso nei paesi mussulmani, in contrapposizione con la visione americana; ma, in suo luogo, è stato diffuso lo stralcio di un intervento già noto sulla centralità della lotta palestinese, risalente all’inizio dell’anno scorso. Basterebbe più in generale riflettere che gli attentati del 2001 e quanto è seguito di ancora più atroce e generalizzato come vendetta e repressione sono stati un fattore decisivo, benché non l’unico naturalmente, nella presa di coscienza di grandi masse che sta cambiando la storia. Direi che lo stesso Bin Laden, nonostante il coro in contrario senso che lo vorrebbe rimuovere per sempre, continua ad essere piuttosto scomodo pure da morto, sia per l’Occidente che per chi l’ha tradito.