Desaparecidos - Un appello di Iraq libero. Comitato per la resistenza del popolo iracheno – (dicembre 2004)

Il popolo iracheno resiste con ogni mezzo all’occupazione della coalizione capeggiata dagli americani. Secondo alcune fonti autorevoli, come ad esempio la rivista medica The Lancet, sono più di centomila gli iracheni uccisi dall’inizio dell’aggressione. Un bagno di sangue annunciato. Una strage che è culminata nel massacro recente di Falluja, la città martire, dove gli americani hanno perpetrato una seconda Hiroshima. Nonostante questo, malgrado il terrore sistematico, il popolo iracheno continua a resistere tenacemente, con ogni mezzo. Prima o poi gli occupanti saranno battuti e respinti. La storia darà ragione a chi lotta per la propria dignità, per la propria liberazione. La resistenza irachena bussa alla porta di ogni popolo, chiama in causa il destino dell’intera umanità, che deve scegliere: o accettare il tallone di ferro dell’impero americano o ribellarsi. Disprezzando i sentimenti e i diritti di una nazione già ferita a morte da dodici anni di embargo genocida, gli occupanti aumentano le loro truppe, intensificano la loro guerra, moltiplicano le menzogne.

In questo inferno, su questo deserto di cadaveri, gli occupanti imperialisti vorrebbero infatti far nascere la loro democrazia. Hanno proclamato le elezioni per il 30 gennaio. A gestirle sarà il governo fantoccio di Allawi, da vent’anni notoriamente agente della Cia. Per gli occupanti si tratta di questione di vita o di morte. Per vincerle è sufficiente che esse abbiano luogo. Se la maggioranza del popolo seguirà le indicazioni della Resistenza, se respingerà la tragica farsa delle elezioni, gli imperialisti non avranno più neanche l’ultimo cinico alibi, dovranno andarsene se vorranno evitare che la catastrofe politica diventi militare. Le elezioni in Iraq hanno dunque un’importanza cruciale. Gli occupanti stanno spendendo tutte le loro risorse per convincere l’opinione pubblica mondiale sul fatto che saranno regolari, trasparenti e democratiche.

Essi mentono. Non possono esservi elezioni libere in condizioni di occupazione, con intere zone del paese sotto i quotidiani bombardamenti Usa; non possono esservi elezioni regolari gestite da un governo fantoccio come quello di Allawi. In Iraq non c’è solo una guerra dispiegata, c’è una dittatura militare che con le elezioni vorrebbe camuffarsi come legittima. Occorre dire la verità, occorre smascherare questa pagliacciata.

Non voteranno in Iraq le decine di migliaia di prigionieri di guerra iracheni (buona parte donne, anziani e giovanissimi) rinchiusi in lager del tutto simili a quello di Guantanamo. Luoghi terrificanti di prigionia in cui sono violati i più sacri ed elementari diritti dell’uomo. Secondo alcune fonti questi prigionieri invisibili raggiungono la cifra enorme di 80mila: la più alta dalla seconda guerra mondiale ad oggi.

Di circa diecimila di essi non si sa nulla: sono dei Desaparecidos. Nessuno sa che fine abbiano fatto, tantomeno le loro famiglie. Questi sistemi di tortura e annichilimento mutuati dal nazismo sono cresciuti da quando Negroponte è diventato ambasciatore Usa a Bagdad. Lo stesso Negroponte che si è fatto le ossa nello sterminio dei rivoluzionari in America centrale ai tempi di Reagan.

Di questi Desaparecidos uno spicca su tutti quanti. Si chiama Jabbar al-Kubaisi, leader dell’Alleanza patriottica irachena. Rapito il 3 settembre dagli occupanti nessuno sa che fine abbia fatto, neppure la Croce rossa. Jabbar è il simbolo dell’Iraq che resiste, dell’Iraq che gli americani vorrebbero seppellire per sempre.

E’ inconcepibile che né le Nazioni unite né nessun altro chieda di visitare questi lager di annientamento, che nessuno possa visitarli, che a nessuno sia consentito di rompere la muraglia del silenzio.

Facciamo appello a tutte le forze democratiche e antimperialiste a mobilitarsi, non solo per il ritiro immediato delle truppe d’occupazione, ma contro i metodi di sterminio angloamericani, affinché vengano rispettate le convenzioni internazionali che tutelano i diritti inviolabili dei prigionieri di guerra. Dobbiamo mobilitarci affinché venga riconosciuto alla Resistenza lo status di forza belligerante e non "terrorista", affinché i prigionieri siano trattati umanamente come prigionieri di guerra ufficiali e non come bestie. In particolare chiediamo agli occupanti che rilascino tutte le donne, gli anziani e i giovanissimi.

Chiediamo con forza che essi pongano fine ai loro metodi illegali di annientamento e che indichino ai familiari e all’opinione pubblica che fine hanno fatto le migliaia di prigionieri desaparecidos.

Proponiamo infine la formazione di una commissione giuridica d’inchiesta, internazionale e indipendente, che possa indagare e visitare le decine di Guantanamo irachene.