Kossovo, un’indipendenza dipendente (febbraio 2008)

  La risoluzione dell’Onu 1244 – che prevedeva l’autonomia del Kossovo, non la indipendenza- è stata una delle tante bugie che si raccontano in quella sede e che i principali attori internazionali sapevano essere tale. La secessione del Kossovo, proclamata il 17 febbraio, è lo sbocco delle manovre occidentali iniziate nei primi Novanta, con lo smembramento della Jugoslavia su basi etniche, il riconoscimento di Slovenia, Bosnia e Croazia (1992), gli accordi di Dayton (1995), l’appoggio della Cia alle milizie di Franjo Tudjman e poi a quelle kossovare di Hashim Thaci e compari, finalizzato a colpire la Serbia, uno dei pochi paesi europei non sottomessi, e portarla alla guerra civile. Ciò fu mascherato inizialmente da un assenteismo – ostentato ma non vero- per incancrenire la situazione, sfociata in massacri e scontri interetnici, con tutti ferocemente contro tutti. Con l’intervento Nato del marzo 1999, in difesa della parte prescelta contro l’altra, l’Occidente cessò ogni finzione ed alla denunciata pulizia etnica serba contro le minoranze seguì la silenziata contro- pulizia a danno dei serbi, che già avevano patito quella croata: 2000 morti, altrettanti scomparsi; 300.000 serbi in diaspora ed un numero imprecisabile di rom; un numero pure imprecisabile di morti e malati, oltre all’inquinamento dell’ambiente, dovuti all’uranio cosiddetto impoverito e alle altre schifezze mortifere gettate dagli aerei alleati, ovvero sprigionate dal bombardamento delle fabbriche chimiche. Questo fu il brillante bilancio dell’intervento Nato, ordinato da Washington.

 La contro- pulizia etnica proseguì a ondate successive, ancora silenziate (forse auspicate) come la prima; villaggi, monasteri e chiese andarono incendiati e distrutti. Seguirono i processi del tribunale dell’Aja contro la sola parte perdente; il suicidio, o presunto tale, di Slobodan Milosevic, che in quella sede si difendeva troppo bene. L’ultimo atto della tragedia è cominciato con il piano Onu che porta il nome di Marti Athisaari – accordo economico Serbia- Ue in cambio della spartizione del paese- uno specchio per allodole finora non riuscito e pertanto seguito dall’imposizione pura e semplice, a dispetto delle proteste serbe e russe, fra le altre, circa la violazione del principio di sovranità degli Stati e della non ingerenza.

 In Italia, fra i critici della disinvolta operazione - chiamiamola così - troviamo Lamberto Dini, già ministro degli Esteri del governo D’Alema che, obbedendo al presidente americano Bill Clinton, ordinò la partecipazione italiana alla guerra contro la Serbia. Interessante la sua ammissione, contenuta in un’intervista a Maurizio Caprara per il “Corriere della sera” del 24 febbraio, che col riconoscimento del Kossovo “l’Europa ha infranto la legalità internazionale…quella legalità /che/ era già stata violata dalla Nato nel 99 per certi versi”, anche se “c’era stato un massacro”; e l’affermazione che “sono stati gli Usa a spingere ma davanti a cose come queste non è che si prendono ordini”. Meglio tardi che mai! peccato che il governo cui Dini apparteneva gli ordini li prese e li eseguì alla lettera, senza defezione alcuna.

 Continua Dini: “Il 90% dell’eroina che arriva da noi viene di lì, dal Kossovo. C’è da augurarsi che la forza multinazionale non sia a proteggere il contrabbando e il traffico di droga esistiti finora con il primo ministro Hashim Thaci, uno che poteva essere deferito alla Corte dell’Aja. Era la Cia a rifornire di armi i terroristi e i rivoltosi kossovari. E’ un fatto”. Ottimo. Purtroppo non ci sarà a breve alcun processo all’Aja perché, come noto, gli amici degli Usa non vanno sotto processo se non quando disobbediscono agli ordini impartiti: come è accaduto a Noriega, al Qaeda, Saddam. Infine l’ex titolare della Farnesina riconosce alla Russia di aver svolto “un ruolo decisivo per mettere fine al conflitto del 1999” concludendo che “se si guarda alla Russia di Vladimir Putin, è passato il tempo in cui l’Occidente poteva umiliarla. La Russia non è più disposta ad essere umiliata”.

 Vero anche questo. Come è vero che il treno statunitense in corsa, avviato da due decenni, non si è fermato e non si fermerà per le critiche tardive degli alleati occidentali né per le defezioni dei paesi che temono l’effetto a catena, fra i quali la Spagna - che naturalmente pensa agli effetti in casa propria. Il segretario di Stato americano, Condoleeza Rice, li zittisce ed esclude tali conseguenze nella presunzione che spetti al suo paese decidere le sorti dell’intero pianeta, e quindi chi debba essere indipendente e chi no, ovunque si trovi.

 I serbi sono inferociti, lo dimostrano le grandi manifestazioni per l’unità del paese in corso in questi giorni con gli assalti alle sedi occidentali, la minoranza regionale guidata da Marko Ivanovic parla di “un mostro che può generare altri mostri”; e naturalmente non si fida della forza multinazionale, rinforzata ora da una missione civile Ue, che dovrebbe in teoria proteggere i diritti delle minoranze. Protezione del tutto mancata in passato, improbabile nel futuro. Né si fidano i serbi dell’accordo di associazione e cooperazione prospettato dall’Ue: realisticamente un contenitore che si può riempire o svuotare secondo il loro grado di accondiscendenza politica. Vojislav Kostunica ha bloccato la firma dell’accordo preliminare, che doveva essere siglato dal neopresidente Boris Tadic il 7 febbraio, e quest’ultimo, pur favorevole, ha dovuto promettere che, se anche vincerà le prossime elezioni politiche, privilegerà l’unità nazionale e non riconoscerà comunque l’indipendenza del Kossovo. La contraddizione è evidente, ma non decisiva da sola perché la Serbia è un piccolo paese, già sconfitto.

 Parlando di indipendenza, si fa per dire. Non sarà indipendente il Kossovo, è ovvio, come non lo è stato né mai lo sarà alcun paese che si metta in simili mani. Difatti, è destinato ad accogliere la più grande base americana del continente, un’entità – pare- da superare la stessa Vicenza, più importante ancora, dal punto di vista statunitense, per la posizione geografica, base per ogni tipo di guerra verso Oriente. Chissà se e quando questa indipendenza dipendente sarà in grado di generare una seconda contraddizione, cioè se gli ex Uck, già filo- qaedisti, si adatteranno così facilmente alla parte del fantoccio loro richiesta.

 Più immediate ed importanti paiono adesso le contraddizioni generate dalla tensione con l’Est e dalla possibilità di conflitti a catena. Interessante che i rappresentanti di Ossezia e Abkhazia siano volati senza indugio a Mosca per sostenere la propria volontà di scindersi dalla Georgia, ora governata dai filo- occidentali, ed unirsi alla madrepatria più naturale. Se la Russia è stata finora titubante ad esaudire questo desiderio, naturalmente è perché non vuole fornire argomenti agli indipendentisti di casa propria, specialmente i ceceni. Tuttavia, il crescendo di provocazione dell’Occidente nei suoi confronti (scudo missilistico, assalto alle repubbliche ex sovietiche, prediche sui diritti umani ecc.) potrebbe indurla ad incoraggiare la secessione, un domani seguita da altre, nelle repubbliche di cui sopra, in parte attratte nell’orbita occidentale. Mutuando i metodi occidentali, la Russia potrebbe scegliere se fingere di non averla potuta evitare ovvero applicare in termini platealmente discriminatori i principi di autonomia: si tratta di scelte di forma, non di sostanza.

 Interessante è anche la dichiarazione di un portavoce di Hamas secondo cui non si esclude – diversamente dal passato- che Gaza ed i Territori via via liberati possano seguire l’esempio del Kossovo proclamandosi indipendenti, (magari con una sorta di protettorato iraniano, ancorché formalmente negato). L’effetto a catena, è ovvio, può scoppiare ovunque e il “ve ne accorgerete”, sibilato dai dirigenti serbi alla Europa, può essere - ad avviso di chi scrive – una previsione molto più realistica e vicina, nello spazio e nel tempo, di quanto non si creda. Riflettendo poi a quanto si è screditata l’Onu, consentendo l’applicazione dei suoi stessi principi e delle sue stesse risoluzioni in modo vistosamente diversificato, secondo i rapporti di forza, si può anche prevedere che pochi freni troverebbe l’esplosione di una polveriera, qual è quella innescata nei Balcani dalla demenziale politica statunitense, con Europa docile al carro.