Repubblichina (aprile 2005)

La conclusione del caso Calipari da parte americana giunge per tempo a diradare la retorica, come ogni anno noiosetta e piuttosto rissosa, che ha accompagnato le concomitanti celebrazioni del 25 aprile, anniversario della liberazione dimezzata di un’Italia subito occupata dal nuovo padrone. E’ un po’ sfortunato il presidente Ciampi, nel suo sventolio del tricolore: ogni volta ci prova, giunge la voce del più effettivo governante a rammentare il ruolo che spetta ai subalterni dell’America e qual è la vera bandiera italiana, non il tricolore ma quella a stelle e strisce. Con il presidente che inneggia alla Costituzione reinterpretata in modo americanista, col chiamare missioni di pace quelle di guerra, sono serviti i dirigenti del Sismi e la loro pretesa di ritagliarsi un minimo spazio di autonomia, stridente con la loro partecipazione alle ‘operazioni speciali’ americane in Iraq - che, nonostante il fitto mistero frapposto, si immaginano facilmente essere state assai poco eroiche, condotte a danno dei resistenti iracheni. Sono serviti anche il presidente del Consiglio Berlusconi ed il ministro degli Esteri Fini con le pompose ostentazioni di una commissione paritetica che non è mai esistita. Nessuna partecipazione all’acclaramento dei fatti, nessuna responsabilità americana, nessuna scusa, nessuna possibilità di processare i responsabili per la magistratura italiana alla quale, per aggiunta di beffa, sono stati ostentati sulla rete i nomi dei responsabili grazie allo ‘sfortunato errore’ della forza a Baghdad.

Ma non venite a parlarci di una dignità nazionale che, dopo il Risorgimento, non è più esistita nella classe dirigente del nostro paese. Se vi fosse stata anche una minima resipiscenza, per quanto nulla v’importi del genocidio perpetrato in Iraq con la vostra complicità, dopo lo schiaffo subito e almeno per questo, avreste annunciato il ritiro delle truppe. Invece eccovi rilanciare la versione americana del ‘tragico incidente’, quando è visibile anche agli orbi la forte possibilità che quella pattuglia mobile, autorizzata a sparare su ogni cosa si muova, non sia stata volutamente preavvertita del passaggio dell’auto che trasportava gli ufficiali del servizio con l’ostaggio; eccovi, come sempre, avallare la fedeltà all’America e lanciare anatemi a chiunque osi metterla in discussione. Ecco ancora la così detta opposizione, nella sua parte maggiore e decisiva,  escludere ogni volontà di ritiro unilaterale e gli speranzosi ministri degli esteri in pectore, Fassino e D’Alema, lanciarsi nella gara a chi meglio avallerà la copertura ideologica della odiosa espansione coloniale finalizzata a derubare i paesi arabi delle loro risorse, della loro cultura, del loro territorio e di tante vite, denominata, in perfetta sintonia col padrone americano, libertà e democrazia. Non parliamo, poi, della arguta discettazione sulla ‘espansione della democrazia’ in luogo di ‘esportazione’. Come spesso accade, le dichiarazioni degli esponenti del governo sono speculari a quelle di un’opposizione parlamentare rissosa quanto inconsistente, nel riproporre la spada di Damocle della dominazione americana, presentata come ineludibile nel passato come nel presente, modo unico ed obbligatorio per affrontare e superare le divisioni sulle quali è nata e vissuta l’Italia post fascista.

Non si parli ossessivamente di una memoria del 25 aprile forzosamente condivisa all’insegna dell’atlantismo, quando fra i tanti filo- atlantici dell’oggi c’è ancora una spaccatura verticale fra chi ricorda e rispetta il decisivo contributo comunista e chi lo vuole negare, riscrivendo la storia alla propria maniera; fra chi rispetta e ricorda anche i morti di parte fascista e chi tuttora non è disposto nemmeno a fare qualche distinzione fra di essi, a dispetto di conclamati pacifismi. Delle tragiche divisioni di quel tempo, ognuno sia libero allora di  ricordare, elaborare ricordi altrui ed omaggiare proprio chi e come meglio crede, senza forzature ed imposizioni autoritarie. E se si vuole rendere omaggio a quei partigiani che misero a rischio la propria vita, e spesso la persero, in un’aspettativa o illusione di libertà alla quale credevano, non è giusto neppure attribuire loro ciò che è accaduto poi, mescolarne tutt’intera la memoria, obbligatoriamente e continuamente, con i presunti liberatori angloamericani che unirono agli eccidi perpetrati la strumentalizzazione della loro azione e del loro coraggio, per renderci asserviti come prima. Come dimostra vistosamente, da ultimo, anche l’uccisione dell’ufficiale del Sismi e l’arrogante risposta americana, a dispetto della retorica sprecata in questi giorni.

A Sant’Anna di Stazzema, luogo dell’eccidio nazista del 12 agosto 1944, si è svolta una cerimonia molto diversa da quelle ufficiali, per iniziativa degli antimperialisti e di un gruppo partigiano del luogo, che filo- atlantico non fu allora e neppure oggi vuole essere, a celebrare il gemellaggio del paese con Falluja, la città martire teatro del massacro di 30.000 iracheni e forse più – neppure il numero dei morti abbiamo! Una libera elaborazione del ricordo, certo, di minoranza; un’iniziativa non per caso silenziata e boicottata da tutte le parti politiche e da giornali di sinistra, come ‘il manifesto’ che ha rifiutato persino la pubblicità a pagamento. E’ stata più libertaria la Questura di Lucca inviando pochi poliziotti, che ascoltavano con rispetto gli interventi. I presenti hanno potuto così respirare una boccata di aria pura per disintossicarsi da quella melmosa dell’atlantismo imperante e commemorare in modo non retorico la resistenza italiana e le vittime dell’occupazione tedesca, separandone il ricordo da quello di sedicenti liberatori ed avvicinandolo invece a quello delle tante altre vittime degli stessi, alle quali maggiormente somigliano, come i martiri della città irachena colpita con furia selvaggia dai cacciabombardieri americani.

La retorica istituzionale invece, pur essendo assordante e quindi più fortunata nell’ascolto, assolutamente non è riuscita a nascondere che nei giorni scorsi è stata celebrata la nascita non di una repubblica ma di una repubblichina, così speculare e simile a quella mussoliniana deferente verso l’altro occupatore, non una bandiera ma uno straccetto, privo di valore identitario ed oscurato dall’ingombrante vessillo imperiale.  Costanzo Preve, filosofo marxista, ha dichiarato recentemente che, pur non essendo il nazionalismo la sua cultura, sarebbe disposto a sfilare dietro al tricolore se a questo fosse dato un senso reale, cioè indipendentista. Un’affermazione molto saggia. Gli asseriti nazionalisti italiani di qualunque colore, invece, non riescono a reagire neanche quando gli sparano addosso. Del resto, come si fa a fare i nazionalisti sventolando la bandiera degli altri?