La
cosiddetta riforma dell’Onu
(giugno 2005)
Il 16 giugno il sottosegretario di Stato Nicholas
Burns ha ufficializzato la posizione americana sulla riforma dell’Onu e del
Consiglio di sicurezza: allargato quest’ultimo a due soli membri permanenti,
Giappone e India (quest’ultima
per depotenziare il G4, organismo delle potenze emergenti), non invece alla
Germania, così punita per non aver obbedito alla chiamata alle armi contro
l’Iraq di Saddam Hussein. L’organismo che governa le Nazioni unite sarà
quindi, come prima, centralizzato, verticistico e rigidamente chiuso alle
istanze dei popoli e degli Stati più deboli, sempre oggetto di dominio e mai
soggetto. Situazione più bloccata che prima, anzi, per il contesto ed i
contenuti della così detta riforma, fatta avanzare formalmente dal segretario
generale dell’Onu Kofi Annan nel marzo scorso. Cosa prevede? Un codice
sull’uso della forza e della guerra, anche preventiva, le cui regole spetta
definire soltanto al Consiglio di sicurezza così circoscritto, con una
definizione del “terrorismo” che “superi i dibattiti sul c.d. terrorismo
di Stato” – cioè la legittimazione della forza da parte dei potenti contro
chi si oppone loro e la consacrazione definitiva delle pretese americane sul
mondo. Prevede inoltre lo smantellamento delle strutture di garanzia, come la
Commissione per i diritti umani, dimostratasi troppo indipendente per i gusti
americani, russi ed israeliani, sostituita da una ‘commissione per la
costruzione della democrazia’ – cioè una nuova struttura totalmente
americanizzata, funzionale alla violazione sistematica e permanente dei diritti
dell’uomo e dei popoli, composta da funzionari che scrivono i rapporti e
concretamente agiscono sotto dettatura e per ordine di Washington. Intanto, per
non perdere tempo, sono già volate diverse teste: fra le altre quella
dell’Alto commissario per i rifugiati, Ruud Lubbers, da tempo sgradito a
Washington, nonché di Cheriff Bassiouni, commissario Onu per i diritti umani in
Afghanistan, colpevole di aver denunciato nel suo rapporto gli arresti, le
detenzioni arbitrarie di cittadini afghani e di altri paesi per conto
dell’amministrazione Bush e le torture sistematiche praticate nelle 14
‘carceri segrete’ sparse per il paese.
Non è stato certo per caso, poi, che la proposta di
siffatta riforma sia stata avanzata da Annan negli stessi giorni in cui la
stampa internazionale pubblicava le prime anticipazioni della commissione
americana incaricata dal Congresso di indagare sugli scandali delle Nazioni
unite: la corruzione legata al programma Oil for food - che vede pesantemente
implicato fra gli altri il figlio di Kofi Annan, Kojo – le violenze sessuali
perpetrate dai contingenti inviati a Timor est, Cambogia, Kossovo, Congo, ed
altro ancora. Tanto meno è casuale che, una volta avanzata da Annan la riforma
che piace agli americani, il 20 marzo, una settimana dopo altre anticipazioni
rassicuravano sul contenimento delle accuse verso costui, criticato per “non
aver corretto il malfunzionamento” delle strutture ma, a dire della
commissione, non direttamente implicato. Pare ovvio non solo che di coincidenze
non si tratta, ma che la contestualità fosse voluta per chiarire a tutti chi è
il padrone e quali mezzi adopera per farsi obbedire. Chiaro che scandali,
violenze e schifezze varie andavano denunciati, e da un pezzo; ma su essi è
calata una coltre di silenzio fino a quando non ha fatto comodo ‘scoprirli’
(e si può già prevedere che, una volta ottenuti gli scopi prefissi, tornerà
il silenzio a tutto coprire). Non è l’accusa che non va, ma l’accusatore;
un po’ come se, per giudicare un violentatore, si scegliesse per giudice
Angelo Izzo o, per dei rapinatori, Totò Riina. Qualcosa non torna, nei
contenuti e nella forma. O, meglio, non torna niente.
L’Onu non è che una burocrazia senz’anima, un
castello di carta, la foglia di fico dei potenti. Lo è di fatto sempre stato e,
dopo la caduta del Muro, ha perso gradualmente ogni credibilità. E’ inutile
chiedere e sognare l’Onu dei popoli e riforme vere, che non saranno mai date
da parte delle potenze cui interessa soltanto dominare. Le riforme di una feroce
dittatura – questa è l’America, dietro il fiume di chiacchiere della sua
propaganda- non possono che essere in peggio. Occorrerebbe che gli Stati deboli,
ma consapevoli di sé, comincino col boicottarlo. Con l’obiettivo a lungo
termine di realizzarne un altro ; o magari diversi altri, strutture di area
geografica che abbiano rappresentanze allargate ed effettive, regole chiare che
attingano al patrimonio di civiltà anziché alla sub cultura delle potenze
dispotiche. Soltanto creando organismi indipendenti si può difatti riacquistare
la vitalità perduta, trattare da posizioni di maggior forza, farsi rispettare.
Ogni processo in direzione di una maggiore rappresentatività (non voglio più
usare il termine democrazia perché rievoca l’America, è diventato da un
pezzo sinonimo di dittatura) non può che passare dal boicottaggio delle
strutture dominanti, dall’Onu al Wto, che funzionano con i criteri mafiosi del
ricatto e dell’usura. Io credo che questo processo sia inevitabile e se ne
vedano già alcune premesse.