Una risoluzione che non risolve nulla (settembre 2006)

Lo sfracello estivo causato da Israele - l’aggressione feroce del Libano e di Gaza, che descriviamo nel dossier Palestina- non trova una risposta adeguata da parte di quella che continua a definirsi ‘comunità internazionale’, talmente succube dell’asse Washington- Gerusalemme da non aver potuto partorire che un topolino. La risoluzione 1701 dell’agosto, per l’ambiguità e l’unilateralismo, la sproporzione con l’entità del problema - l’aggressività del regime sionista - lascia sgomenti quasi al pari dello sfracello da quest’ultimo provocato.

Anzitutto vi è completamente ignorata la Palestina dove il nome leggiadro di ‘Pioggia d’estate’ ha coperto la continuazione del genocidio palestinese, praticato massicciamente con assassinii quotidiani. La categoria del genocidio, della pulizia etnica e dell’assassinio sono le uniche adeguate, poiché non di conflitto si tratta quando la forza è così impari – aerei da guerra e thanks di uno degli eserciti più potenti del mondo contro dei corpi e poche armi leggere- e oltretutto si pretende di cancellare la storia, il diritto e la ragione negando alle vittime la legittimità della risposta. La distruzione delle infrastrutture civili è stata diretta a togliere cibo ed acqua alla popolazione, costringendola a bere liquami, per uccidere più persone possibile, specialmente i bambini, futuri resistenti. Sono colpite le ambulanze, i medici che prestano soccorso, affinché i feriti muoiano a decine, a centinaia, o restino invalidi a vita. Si impedisce la pesca, si bloccano i valichi per impedire i rifornimenti, aggravare la miseria, impedire alla gente di far ritorno a casa o di scampare in Egitto. E l’embargo, la decapitazione del governo voluto dal popolo, i sequestri di persona, sono la dimostrazione quotidiana e tracotante della volontà di occupazione perenne, di negazione dei diritti, di riduzione dei vicini, già espropriati del loro paese per far posto allo stato ebraico, a succubi, schiavi, privi della loro dignità umana e civile. Il pretesto del sequestro di Shalit, come inizio dell’operazione, è falso. E’ un fatto che solo nel giugno, prima dell’azione della resistenza il 25, gli uccisi palestinesi erano già 30, da aggiungersi ai 103 contati dall’inizio dell’anno sino a fine maggio. Altro fatto, anzi 10.000 fatti, sono altrettanti palestinesi sequestrati e internati nei lager israeliani, dove la tortura è quotidiana, rispetto ai quali neppure è concepito lo scambio di prigionieri, praticato da che mondo è mondo in tutto i conflitti. Presentando il suo rapporto sulle violenze israeliane nei Territori all’Onu, il commissario John Dugard ha affermato: "…se tutto questo avvenisse in altri paesi sarebbe definito come pulizia etnica, ma trattandosi di Israele questo non accade perché considerato non politicamente corretto…Gaza è come una prigione di cui Israele ha gettato le chiavi". Ignorato, completamente. La risoluzione non prevede nulla e le chiacchiere che si sono fatte nei colloqui diplomatici, a partire da quelle di Kofi Annan, sono una beffa aggiunta al danno.

Lo stesso rovesciamento delle parti, questa volta ufficializzato nella risoluzione, riguarda il Libano dove i 1200 morti si sommano ai 24000 causati dalle precedenti aggressioni israeliane e la devastazione, l’accanimento verso la popolazione civile è stato eguale, la macabra promessa di "far ritornare il paese a 20 o 30 anni fa" puntualmente mantenuta. La risoluzione finge che il problema non sia questo e che il conflitto sia iniziato dall’azione di Hezbollah, mera risposta invece alle continue incursioni, all’occupazione di fette del territorio presso il confine, al sequestro di militanti libanesi che Israele rifiuta di scambiare. Finge che il problema si risolva con la fine degli attacchi ad Israele quando, se questi cessassero, ci sarebbe il disastro, l’olocausto tout court, come hanno rammentato i profughi libanesi nell’anniversario della strage di Sabra e Shatilla: la fine della resistenza è la consegna ai carnefici, come insegna quella strage e tante tregue proclamate e mantenute da una parte sola, perché il regime sionista di tregue non ne dà. La risoluzione, ancora, finge il rispetto della sovranità del paese che invece è violata, in continuità con la precedente del 2004, ingerendosi nel precario equilibrio raggiunto dalle fazioni interne, a vantaggio naturalmente di quella filo- occidentale, dando prova dell’irresponsabilità di chi l’ha concepita, visto il precedente della lunga e sanguinosa guerra civile. Finge la neutralità dei sottoscrittori, gli Stati uniti e la Francia, già potenza mandataria in Libano, che fiancheggiano Israele, preventivamente assolta dai crimini di guerra commessi; e dei partecipanti alla missione, di fatto scelti da Israele fra i suoi alleati, con un ruolo particolarmente impegnativo per l’Italia che ha firmato nel 2003 un disastroso accordo militare, per nulla messo in discussione dal governo di centrosinistra. La finzione è già nel momento scelto per emanare la risoluzione, che ha dato tutto il tempo allo stato aggressore di "finire il lavoro" disseminando il territorio di bombe a grappolo e mine, per continuare ad uccidere a scoppio ritardato.

C’è da meravigliarsi, allora, se alla sospensione del blocco aereo israeliano non è seguita quella del blocco navale, se lo stato ebraico detta le proprie condizioni all’Unifil quasi desse ordini ai suoi miliziani, se si riserva di proseguire i bombardamenti e di fare incursioni da terra ad libitum, se l’Unifil non sarà efficiente nel disarmare la resistenza di Hezbollah? No, perché il rapporto è concepito come pura dipendenza dell’Onu e dell’Europa all’asse israelo- statunitense, e non da oggi bensì da sessant’anni. L’unica aspettativa possibile è semmai che alla voluta ambiguità della risoluzione, necessaria per essere sottoscritta anche dal Libano, segua una sorta di impotenza della missione nel perseguire gli scopi reali che si è prefissa, che si rinsaldi la tregua tra le fazioni libanesi, insperata fino alla vigilia dell’aggressione, che la resistenza Hezbollah si riorganizzi in fretta e consolidi il risultato di consenso e simpatia ottenuto a prezzo del suo sacrificio. Con un ordine – o meglio un disordine- mondiale come quello rappresentato dall’Onu, nessuna pacificazione reale sarà possibile.