Un
mondo senza nucleare (iraniano) (Michela M.C. – ottobre 2009)
Le manovre
statunitensi ed europee a margine del G20 di Pittsburgh e dell’Assemblea
dell’Onu a New York hanno dimostrato qual è la sostanza celata dietro
l’invocazione obamiana di “un mondo senza nucleare”: conservare il monopolio
dell’arma più letale agli attuali detentori, rilanciare nei termini più pesanti
possibile il Tnp - screditato per le inadempienze delle potenze nucleari, che
hanno continuato a potenziare i loro arsenali - impedire agli stati minacciati
dall’asse israelo- americano di crearsi uno scudo difensivo.
Al rilancio
del Tnp nei termini predetti, infiocchettati con dichiarazioni retoriche, ha
provveduto la risoluzione 1887 del 24 settembre, che non richiede nessun
impegno concreto a chi possiede l’arma atomica. Già il giorno seguente il
presidente americano, scortato dal francese Sarkozy e dal britannico Brown, ha
convocato una conferenza stampa per minacciare l’Iran, con il pretesto di
“rivelare” un dossier, per esplicita ammissione noto da mesi ai servizi,
sull’impianto costruito dagli iraniani presso Qom. Il 26 settembre, l’Aiea
rendeva noto di aver ricevuto un’informativa dall’Iran, il 21, circa la
struttura in discorso, accompagnata dall’assicurazione che si tratterebbe di un
impianto in fase sperimentale, giudicato necessario per premunirsi dalle continue minacce di attacco
militare agli impianti noti. Subito si sono levate alte strida: l’Iran ha
informato quando ha capito di essere stato scoperto! li abbiamo presi in castagna!
hanno urlato all’unisono gli esponenti occidentali ed i loro giornali. Del
tutto ignorato, invece, è stato il voto dell’Assemblea sulla mozione araba,
sostenuta dalle potenze asiatiche, che richiede ad Israele l’adesione al Tnp ed
all’Aiea di mobilitarsi per ottenere il controllo dell’arsenale di Tel Aviv, la
più concreta ed attuale minaccia per tutta la regione mediorientale. Cinquanta
voti che non contano nulla, secondo Obama e le ‘mosche cocchiere ’ europee, che
hanno rispolverato per l’occasione il volto tracotante del bushismo, benché il
successore spergiurasse fin poche ore prima di averlo abbandonato.
Tutto
questo accade a completamento delle continue minacce di aggressione militare da
parte israeliana, accompagnate dall’invio dei mezzi subacquei Dolphin a testata
nucleare nel mar Rosso! E lo stato sionista, potenza atomica che ha originato
tutti i conflitti mediorientali, rivendica “il diritto di attaccare l’Iran” !
Scandaloso ed inaccettabile.
Ma chi
protesta, in Europa? Gli antimperialisti, naturalmente. “Si vuole mettere
Teheran dalla parte del torto comunque sui muova. Se non informa l’Aiea delle
sue attività viene accusata di attività segrete, se la informa la si accusa
automaticamente di attività illecite. E’ uno schema collaudato che entra in
gioco ogni volta che si sta preparando un’aggressione. Se l’Iraq di Saddam
Hussein non voleva far entrare gli ispettori lo si accusava di nascondere le
famose ‘armi di distruzione di massa’, se invece li faceva entrare anche il più
innocuo dei missili difensivi diventava una pericolosa arma da smantellare” –
scrive Leonardo Mazzei (“A cosa
servono i vertici”, www.campoantimperialista.it
, 28 settembre). Di più, nessun obbligo di informazione spetta ai firmatari del
Tnp se non quello verso l’Aiea, mentre “non sta scritto da nessuna parte che
noi si debba informare l’amministrazione del signor Obama”, ha constatato il
governo iraniano. Ovvio, “tanto ovvio che diventerà un nuovo argomento di accusa”,
scrive ancora il commentatore citato sul sito antimperialista. Purtroppo queste
voci sono ancora poche, in Italia ed in Europa. Possibile che si debba
protestare solo quando ci si trova nel pieno della bufera?
Tutti si
fanno invece la domanda sul se e sui tempi della minacciata aggressione
all’Iran. Fino ad oggi sono risultate prevalenti tutte le controindicazioni che
hanno ostacolato, a dispetto di anni e anni di minacce, l’intervento armato
vero e proprio, già ricordate in una riflessione di oltre 3 anni fa (vedi in
questa rubrica Nucleare iraniano e sovranità nazionale – marzo 2006). Le
controindicazioni restano tutte valide, anzi aggravate dall’impantanamento
americano in Afghanistan ed ancora in Iraq (vedi E.M., Ritiro delle truppe
Usa dalle città irachene, in questa rubrica, luglio 2009) dove la scontata
ostilità del governo iracheno metterebbe in forse anche i risultati che gli Usa
ritengono di avere raggiunto a Baghdad. Sono aggravate anche dall’insufficienza
di informazioni sulle potenzialità militari iraniane, data la seconda vittoria
dei radicali di Ahmadinejad, che hanno reso impermeabile l’apparato iraniano e
pertanto difficile un’attività spionistica a tutto campo dei servizi
occidentali. In caso di aggressione,
poi, il Consiglio di sicurezza non potrebbe fare la solita parte della foglia
di fico, per lo scontato veto asiatico; di ‘volonterosi’ se ne vedrebbero
pochi, o nessuno; l’Iran è un grande paese, ed è armato fino ai denti: così che
l’attacco ipotizzato dovrebbe essere per forza aereo e ‘chirurgico’, con
rischio di fallimento almeno parziale (non tutti i siti iraniani sono stati
individuati, senza contare che distrutto un sito se ne fa un altro...). Si
aggiunga che l’amministrazione Obama, divenuta piuttosto impopolare in patria
negli ultimi mesi, si darebbe un’altra zappa sui piedi, anche se l’autore
dell’attacco fosse formalmente il solo Israele. Una delega americana
dell’intervento all’alleato sionista è naturalmente possibile, tuttavia i
recenti eventi ricordati, unitamente all’ostentazione dell’ombrello atomico e
le continue forniture di armi ad Israele - a cominciare dalle bombe di
profondità che verrebbero impiegate contro i siti - renderebbe il gioco delle
parti così scoperto da far incarnare negli Usa il ruolo di complice e mandante
agli occhi di tutto il mondo, anche perché non potrebbe esimersi
dall’intervenire in un secondo tempo a difesa dell’alleato. Infine, un attacco
militare compatterebbe il sistema politico iraniano vanificando le utili (per
gli occidentali) divisioni interne e, soprattutto, spingerebbe giocoforza
l’Iran ad accentuare i legami, anche militari, con il Patto di Shangai, com’è
accaduto e sempre più accadrà per effetto delle sanzioni economiche varate
dall’Occidente (che le potenze asiatiche si sono guardate dal contrastare con
decisione, poiché andavano a vantaggio del loro interscambio con Teheran).
Queste sono
le principali difficoltà che incontra il bellicoso asse Washington- Tel Aviv ,
che hanno fatto privilegiare, finora, manovre di destabilizzazione – dal
sostegno ai Mujaheddin del Popolo ed ai separatisti baluchi al fallimentare
tentativo di ‘golpe colorato’ del giugno scorso (vedi Ingerenze democratiche
(per ora fallite) in Iran, in questa rubrica, luglio 2009).
D’altro
canto, a legittimare l’ipotesi che si stia davvero predisponendo un attacco,
abbiamo visto il presidente americano buttare la maschera troppo in fretta,
minacciare l’Iran di aggressione evidenziando da un giorno all’altro tutta
l’ipocrisia dei suoi discorsi più popolari, appena ripetuti in sede Onu.
Difficile individuare la causa di ciò nella “scoperta” dei servizi del sito di
Qom, per sua ammissione vecchia di mesi. Neppure può essere una numerosa
compagnia, data l’assenza alla famosa conferenza stampa di altri leader oltre i
due citati (assente perfino il cancelliere tedesco Angela Merkel) e dato il
voto dell’Assemblea sulla mozione araba, sopra ricordato. Può valere a
spiegarlo, invece, l’ossequio verso i desiderata dei Israele e della lobby
sionista americana, che da anni premono per l’aggressione (ossequio evidente
anche nel coevo incontro con Benjamin Netanyahu ed Abu Mazen, dove è
completamente caduta perfino la blanda richiesta, da parte dell’amministrazione
americana, della sospensione della colonizzazione ebraica come pregiudiziale
per i colloqui israelo- palestinesi). In secondo luogo, che esista un piano
particolareggiato di attacco americano all’Iran, oltre che israeliano, è stato
confermato il 2 febbraio in un’audizione al Senato di Zbigniew Brzezinski, già
consigliere alla sicurezza di Bill Clinton, che ne ha pure svelato la premessa-
pretesto: uno o più attacchi terroristici da attribuire all’Iran, fatti in
territorio statunitense oppure iracheno. Nell’evidenziare questa ammissione (la
stampa occidentale ha silenziato l’ultima parte), il sito Peacereporter ricorda
un’altra, terribile ragione che può portare gli Usa all’attacco: “una nazione
come gli Stati Uniti, che si regge ormai sopra un’economia di guerra, non ha
altro modo per confermare la propria supremazia mondiale, messa in discussione
dai paesi emergenti” (Massimo Zucchetti, L’escalation
nucleare può portare a un conflitto Usa- Iran, www.peacereporter.net , 21 febbraio
2009).
Però, nonostante
la sparata di Pittsburgh, gli Usa temporeggiano. Ne è ultima conferma la
riunione di Ginevra dei 5+1 col rappresentante iraniano dopo la quale, oggi 1° ottobre, i
rappresentanti occidentali - accompagnati dal solito coro di Tv e giornali asserviti-
hanno cantato vittorie inesistenti: la disponibilità iraniana a sottoporre il
sito di Qom alle ispezioni dell’Aiea, già implicita nella citata comunicazione
di Teheran del 21 settembre; la “novità”, vecchia di 5 anni circa, dell’offerta
di Mosca a Teheran di arricchire l’uranio in Russia e la risposta
possibilistica di quest’ultimo sul punto (è possibile…magari in parte…),
altrettanto risalente. E mai finora attuata, per la comprensibile resistenza
iraniana a rendere il paese un satellite di Mosca: se sarà attuata, dovrebbe
essere evidente che ciò non avvantaggerà affatto l’Occidente bensì i suoi
rivali asiatici, a dispetto delle enormi sciocchezze che si leggono in questi
giorni sulla Russia “conquistata alle nostre posizioni”. Ma quando mai. Mosca
si prepara semplicemente ad andare a scrocco degli errori occidentali. Anche in
questo campo oltre quello economico in senso stretto.
Dunque a
Ginevra sono state ritenute ancora prevalenti le controindicazioni sulle
ragioni, entrambe sopra dette, che spingono i guerrafondai a fare il loro mestiere
preferito. Vorrebbero tantissimo attaccare, e non si decidono: alternando, come
ormai da otto anni, l’ostentazione muscolare allo sbandieramento di risultati
immaginari. C’è da ricordare che dal dopoguerra in poi Usa ed Israele hanno
aggredito sempre popolazioni indifese, stati disarmati o male armati : non è il
caso dell’Iran, che ha confermato nei giorni scorsi le proprie capacità di
risposta, testando i missili in grado di colpire Israele, le basi americane
della regione come le coste dell’Europa sud orientale. L’Iran non potrebbe mai
vincere naturalmente ma potrebbe dare moltissimo filo da torcere e provocare un
terremoto politico in tutta la regione ed oltre. Il pensiero corre ad una
antica profezia mussulmana secondo la quale l’ultimo capo dell’Impero, che
accompagnerà l’Occidente verso il suo inevitabile declino, sarà un uomo alto,
con la pelle scura…