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Luigi Cipriani, Il golpe Fiat

in Democrazia Proletaria n.1/1985

"Quel che dobbiamo denunciare è l'inusitata gravità politica di questi piani, al solito si trattava di usare denaro pubblico, per portare la Fiat e i suoi vassalli, Pirelli, Orlando, Bonomi ed il capitale finanziario internazionale a controllare di fatto l'intera economia italiana privata"

Cos'è un golpe, depurato dalla bestialità sanguinaria dei pronunciamenti militari? Distruggere le conquiste dei lavoratori, ridurre il sindacato ad appendice del governo, riprendere pienamente il comando sulla forza lavoro, infeudare lo Stato ed i partiti, agire al di fuori delle leggi o farsene confezionare su misura, usufruire a proprio vantaggio del denaro pubblico, agire in modo occulto senza controlli.

La Fiat ha iniziato a farsi giustizia da sola, con il licenziamento dei sessantuno accusati di terrorismo, è poi passata all'uso selvaggio della cassa integrazione a zero ore, affiancata dalla ristrutturazione tecnologica che ha portato all'espulsione senza ritorno di decine di migliaia di lavoratori e, tra essi, tutta la struttura dei delegati dell'Flm. Trascinando dietro di sé la Confindustria e l'Intersind, la Fiat è passata all'attacco delle grandi conquiste operaie, come la contrattazione aziendale, il controllo sull'organizzazione del lavoro, per arrivare all'attacco frontale alla scala mobile.

In questa sua azione la Fiat ha trovato interlocutori attenti e disponibili nei governi, che hanno concesso sostegni economici notevoli, come la fiscalizzazione degli oneri sociali, cassa integrazione speciale, aiuti e sovvenzioni per gli investimenti, esportazioni, ricerca, e via dicendo: in totale essa ha incassato ben 3.000 miliardi, senza dovere rendere conto a nessuno.

Contemporaneamente, la casa torinese ha potuto scaricare sulle Partecipazioni statali i propri ferri vecchi e le aree di perdita, aggravandosi di passività che oggi peserebbero per 2.000 miliardi.

La logica evoluzione della politica Fiat sono oggi i licenziamenti di massa alla Magneti Marelli, come risposta e ricatto nei confronti della magistratura, perché non si esprima in modo favorevole ai lavoratori, e nei confronti della Flm milanese che, pur fra mille errori e difficoltà, si oppone all'infeudamento del sindacato. Per potere fare ciò, gli Agnelli hanno potuto godere del sostegno di una fitta rete di poteri occulti ed hanno attivato operazioni clandestine golpiste, che stanno ad indicare la pericolosità del far politica della Fiat.

Innanzitutto essa è oggi la più grande industria bellica italiana, e quindi gode di connessioni con gli apparati militari nazionali ed internazionali, fomenta la politica di riarmo della Nato e la rinascita dell'Ueo quale forza militare di dissuasione autonoma ed europea. Molti generali italiani sono finiti a dirigere i settori bellici della Fiat, ad esempio il generale Mereu, presidente dell'Unione militare di Roma, iscritto alla P2 con tessera E18.77/040490, presidente della Lancia veicoli speciali (autoblindo, carri armati) ed il generale Giuseppe Giraudo, presidente della Motofides Fiat (missili e sistemi d'arma).

Note sono le schedature alla Fiat, vicenda losca che la magistratura ha di fatto insabbiato. Altra vicenda insabbiata è quella dei finanziamenti degli Agnelli al gran Maestro della massoneria, Salvini, e alla P2 di Gelli. Su denuncia dell'ingegner Siniscalchi, il Procuratore della repubblica di Firenze, Catelani, aprì un'inchiesta sulla destinazione di 3.000 assegni emessi dall'azienda torinese fra il 1971 e il 1976, per un valore di 15 miliardi (100 miliardi oggi) finiti alla Cassa di risparmio di Firenze. Maria Cantamessa, cassiera generale della Fiat e Luciano Macchia, funzionario dell'Ifi (la finanziaria attraverso la quale gli Agnelli controllano la Fiat) entrambi legati al golpista Edgardo Sogno, ammisero che i finanziamenti andarono alla massoneria, al fine di impedire l'unità sindacale. Altra vicenda che coinvolse clamorosamente la Fiat, attraverso il consigliere personale di Giovanni Agnelli, Vittorino Chiusano democristiano, fu un finanziamento di 400 milioni dato al golpista iscritto alla P2 Edgardo Sogno e a Luigi Cavallo, provocatore dei servizi segreti, fondatore del sindacato giallo dell'automobile. Anche questa inchiesta è stata insabbiata, ed oggi Vittorino Chiusano fa il parlamentare europeo Fiat nelle liste della Dc.

Rimanendo sempre nel campo dell'agire occulto, incontriamo il finanziere artefice della riscossa Fiat, il misterioso Enrico Cuccia. Siciliano, fervente cattolico, un massone iscritto fin dal marzo 1955, gran santone della finanza laica il quale appunto dirige una banca di proprietà dell'Iri, la Mediobanca, come fosse cosa sua, attraverso le connessioni segrete della massoneria.

Con una serie di operazioni ultrasegrete e fatti compiuti, che avevano sempre come presupposto l'utilizzazione di denaro pubblico a vantaggio dei privati, il Cuccia, senza farle sborsare una lira di denaro fresco, ha portato la Fiat a controllare la Snia (oggi una delle più sofisticate fabbriche di missili e motori per razzi), la Montedison, compreso il ricco settore farmaceutico e il quotidiano Il messaggero.

Dal cadavere di Calvi, chi ha tratto i maggiori vantaggi è stata la Fiat, che ha potuto acquistare una delle maggiori compagnie di assicurazioni (la Toro) e mettere un piede nella Ras. Più recentemente, sempre sotto la guida di Cuccia, gli Agnelli hanno rilevato la Rizzoli, che fu di Calvi. Ciò che non era riuscito alla P2 è riuscito alla Fiat, che oggi controlla i maggiori quotidiani, La stampa, Il messaggero, il Corrierone e i più famosi settimanali, Europeo, Il mondo ecc. Gli Agnelli già possiedono la Fabbri editori e, attraverso un'altra creatura di Cuccia, la Consortium, hanno una partecipazione nella Mondadori, in compagnia con sua eminenza Berlusconi, non dimenticato piduista. Siamo quindi di fronte alla più forte concentrazione di mezzi d'informazione del nostro Paese, ben al di sopra di quel 25% del mercato fissato dalla legge sulla stampa. Cosa significhi il controllo Fiat sull'informazione, ne abbiamo avuto un esempio recentemente, quando il direttore del Corriere ha negato la pubblicazione di un articolo da parte di un altro santone della finanza italiana (il senatore e presidente della più grande compagnia di assicurazione europea, le Generali) Merzagora, il quale denunciava la gravità di un vero golpe economico che il solito gruppo Agnelli stava segretamente preparando. Preoccupato della situazione, lo stesso direttore di Repubblica ha dato il via ad una massiccia campagna di stampa per denunciare l'operazione Mediobanca, i cui particolari sono diventati noti e che non riprendiamo qui.

Quel che dobbiamo denunciare è l'inusitata gravità politica di questi piani: al solito si trattava di usare denaro pubblico, per portare la Fiat e i suoi vassalli, Pirelli, Orlando, Bonomi ed il capitale finanziario internazionale a controllare di fatto l'intera economia italiana privata.

Nella cassaforte di Mediobanca, controllata per il 57% dall'Iri, vi sono 800 miliardi di titoli, praticamente i pacchetti di controllo di tutti i grandi gruppi, le Generali, Montedison, Pirelli, Snia, Olivetti, Gemina, Mondadori, Gim, Fondiaria, un potere enorme che lo Stato ha consegnato nelle mani di Cuccia e che ora dovrebbe passare in mani Fiat ed internazionali.

Un altro aspetto economico che riguarda direttamente la democrazia e la politica nel nostro Paese è l'inflazione del capitale finanziario straniero che, a partire dal 1981, ha ripreso voracemente ad interessarsi dell'Italia nel caso più recente riguardante l'Olivetti. Il 25% dell'industria italiana è ormai controllata dagli Usa, ed un altro 10% lo è da parte dei paesi europei, l'inserimento della banca internazionale patrocinata dagli Agnelli, la Lazard freres, avrebbe oltretutto l'effetto di porre una vera e propria questione di indipendenza nazionale.

Il disegno degli Agnelli si è venuto quindi delineando, con quest'ultimo caso, in tutta la sua dimensione e particolarità. Un ritorno al far politica, fatto di arroganza antioperaia, infeudamento dello Stato e dei partiti, di ricatti e di golpismo strisciante. Manca probabilmente l'ultimo tassello, la ratifica istituzionale della modifica delle regole del gioco. La grande riforma di Craxi è arenata mentre la commissione Bozzi, incaricata di mettere d'accordo i partiti sulla modifica della Costituzione, ha praticamente fallito.

Inopinatamente, il 6 dicembre 1984, ecco apparire in prima pagina, sul quotidiano della Confindustria, un articolo di Gianfranco Miglio, docente della Cattolica, democristiano, autore di un libro Una repubblica migliore per gli italiani, nel quale si propina la repubblica presidenziale di Gelli. Nell'articolo il Miglio afferma cose gravissime, senza che né il governo o i partiti abbiano manifestato reazioni. Partendo dal fallimento della commissione Bozzi, Miglio afferma che si presentano ora due scenari: "il primo è quello di un colpo di Stato tradizionale, che arresta il funzionamento degli organi costituzionali, e concreta il potere nelle mani di un gruppo di persone spregiudicate e decise ad approfittare della debolezza del regime". L'altro, quello che il Miglio propingua, è quello delle modifiche alla Costituzione consentite dall'art.118 da parte del Parlamento, "ma questi è impotente a procedere". Per superare l'ostacolo del Parlamento, l'Autore invita la magistratura ordinaria -Corte di Cassazione- o quella politica -Corte costituzionale- ad indire l'elezione diretta del Presidente della Repubblica, saltando il Parlamento. Il Miglio, bontà sua, si preoccupa di affermare "In parole povere, le Corti attesterebbero che non si tratta di un colpo di Stato, ma di una misura eccezionale per un caso eccezionale".

Avanza il potere della Fiat e studiosi 'costituzionalisti' come il professor Miglio finiscono sulle prime pagine dell'organo della Confindustria: il messaggio, credo, è molto chiaro. Per questo, battere i licenziamenti alla Magneti Marelli ed impedire l'operazione Cuccia-Mediobanca va ben oltre i fatti specifici. Vuol dire battere il golpe Fiat.