L'occupazione continua nel paese orfano del mullah Omar

30 luglio 2015

In seguito al susseguirsi di notizie sulla morte del mullah Omar, ribadite pubblicamente dai servizi afgani , i Talebani ammettono infine il luttuoso evento (ci vorranno altre settimane per ammettere che la morte risale all’aprile 2013 e che sarebbe avvenuta in un ospedale pakistano) . Annunciano poi che la Shura di Quetta ha designato successore mullah Akhtar Mansour, definito “vice” del mullah Omar quand’era ancora in vita.

1 agosto 2015

In un messaggio audio, il mullah Akhtar Mansour lancia un appello alla unità del movimento talebano, più che disorientato dall’annuncio del giorno precedente. Molti militanti sono furiosi per essere stato loro taciuta una notizia così grave, per oltre due anni, e per l’inganno dei falsi messaggi firmati Omar. Secondo il giornale pakistano “The Express Tribune” ed altre voci, si diffonde nel movimento anche il sospetto che il capo dei Talebani sia stato avvelenato per una faida interna, diversi esponenti si stanno dimettendo dai loro incarichi ed in particolare la famiglia di Omar, a partire dal fratello Abdullah Mannan e dal figlio maggiore Jaqub, sarebbe intenzionata a formare un’altra shura, disconoscendo apertamente mullah Mansour. Una frattura molto grave che, fra gli altri effetti, può deprimere la resistenza all’occupazione straniera e facilitare il reclutamento dell’Isis.

6-10 agosto 2015

Si susseguono attentati talebani: fra gli altri un camion bomba a Logar, due attacchi a stazioni di polizia a Kandahar, l’indomani un attentato alla sede dei servizi nella capitale, il 10 agosto contro la base dell’esercito presso l’areoporto provocano decine di vittime tra le forze collaborazioniste. Il presidente Ghani, deluso nella speranza che la morte del mullah Omar producesse un effetto deprimente sulla resistenza, attacca il Pakistan accusato di continuare il sostegno ai Talebani.

19 agosto 2015

In Pakistan, in una località tenuta segreta, si riunisce per più settimane il Consiglio degli Ulema, per dirimere le controversie ed i sospetti circolanti nel movimento talebano in seguito all’annuncio della morte del mullah Omar (vedi successiva nota 16 settembre 2015). Allo stesso scopo si svolge un raduno di militanti talebani a Qetta, mentre mullah Akhtar Mansour incassa la promessa di “collaborazione leale” da parte del capo di al Qaeda, Ayman al Zawahiri.

23 agosto 2015

Su “Huffington Post” il portavoce di Unicef in Italia, Andrea Iacomini, racconta la pratica dei rapimenti di bambini destinati alla schiavitù ed alla violenza sessuale (così detti ‘bacha bazi’), flagello assai diffuso in Afghanistan e Pakistan, ad opera di ricchi, mercenari ed elementi dei corpi di polizia afgani. Un successivo servizio, apparso sul “New York Times” del 21 settembre, rivela che i militari americani hanno l’ordine di non denunciare gli stupratori di bambini, pena gravi sanzioni. Il quotidiano riporta fra gli altri il racconto del defunto capitano Gregory Buckley, fatto al padre, di abusi ai danni di bambini sequestrati da poliziotti o militari e portati alle basi: “…Li sentivamo gridare ma non potevamo fare nulla, i superiori ci dissero di rivolgere lo sguardo altrove perché il ‘Bacha bazi’ fa parte della cultura locale…Abbiamo dato il potere a persone che commettevano cose molto peggiori dei talebani…”

26 agosto 2015

Nell’Helmand un attentato fra i tanti contro militari Nato ad opera di soldati afgani, ed un attacco analogo a Nimroz negli ultimi giorni del mese, rivelano come sia in crescita la diserzione all’interno delle forze collaborazioniste ad opera di elementi che, spesso, mantengono la propria posizione all’interno delle stesse. Ancora più rilevante il completamento della liberazione del distretto di Musa Qala ad opera dei Talebani che, dopo giorni di duri scontri, issano le proprie bandiere e costringono alla fuga il capo del distretto, Sharif Khan; quest’ultimo conferma che le forze afgane hanno subito “importanti perdite”. I Talebani hanno contro anche l’Isis che, proprio oggi, giustizia 10 studenti coranici, ritenuti “nemico che aiuta l’aviazione dei crociati ad uccidere i mujaheddin”: le vittime sono costrette ad adagiarsi in fosse riempite di esplosivo e l’esecuzione è seguita dalla diffusione di un video propagandistico.

28-29 agosto 2015

L’aviazione Nato semina distruzione e morte nel distretto di Musa Qala: almeno 110 le vittime della punizione collettiva contro la popolazione ribelle all’occupazione, che ha aiutato i Talebani a liberare la zona. Il numero dei caduti nei prossimi giorni viene coperto dal segreto.

11 settembre 2015

Intervistato da “al Jazeera”, l’ex presidente afgano Hamid Karzai afferma che la presenza di al Qaeda in Afghanistan, ora come nel passato, “per me è un’invenzione. Non ho mai ricevuto un solo rapporto da una qualunque fonte afgana su al Qaeda o su quello che stesse facendo. Noi non li vediamo, non riusciamo a visualizzarli, per noi non esistono. Non ho mai avuto a che fare con loro”. La tardiva ammissione di Karzai sulla evanescenza di quello che fu il pretesto Usa per aggredire il paese, sparisce sui media occidentali, tranne le poche voci indipendenti.

14 settembre 2015

Costretti a ritirarsi dal centro di Musa Qala (non però dal distretto), per cercare di fermare lo stragismo Usa-Nato ai danni della popolazione, i Talebani attaccano (il commando è di 6 uomini, con divisa dell’esercito afgano) il carcere di Ghazni, nell’est, liberando circa 400 prigionieri, gran parte dei quali politici, dopo uno scontro durato 3-4 ore con le forze collaborazioniste, che perdono 10 uomini. Il tunnel di 1 km. per consentire l’evasione di massa era stato naturalmente scavato in precedenza.

16 settembre 2015

L’inchiesta condotta dagli Ulema sulla morte del mullah Omar e la lunga sessione, iniziata il 19 agosto, si sono concluse. I Talebani fanno seguire un comunicato nel quale affermano di aver superato, grazie agli Ulema, il conflitto interno e che la stessa famiglia del mullah Omar, deposti i sospetti, accetta ora la leadership di mullah Mansour. Questi e l’attuale leadership talebana si sono scusati con i militanti per aver tenuto il segreto sulla morte del fondatore del movimento affermando di aver ritenuto che tale evento avrebbe prodotto un effetto demoralizzante sulla resistenza, proprio mentre si prevedeva la fine dell’occupazione militare Nato. Tuttavia la pacificazione non è completa perché il gruppo Fidai Mahaz (Fronte del sacrificio), guidato da mullah Najbullah, continua a disconoscere Mansour e si oppone altresì ai tentativi di dialogo con il governo Ghani, che Mansour vorrebbe proseguire.

19-22 settembre 2015

In questi giorni, all’interno di Camp Arena, i carabinieri del 1° reggimento Tuscania, del 7° reggimento Trentino- Alto Adige e del 13° Friuli- Venezia Giulia hanno “tenuto un corso a favore della 7° brigata Afghanistan civil order Police di stanza ad Herat” focalizzato sulla “irruzione nelle abitazioni civili e neutralizzazione di elementi ostili”.

22 settembre 2015

In occasione della festa del Sacrificio (Eid al Adha) il capo riconosciuto dalla maggioranza dei Talebani, mullah Akhtar Mansour, dichiara: “se il paese non fosse soffocato dall’occupazione, la situazione sarebbe risolta attraverso un’intesa inter- afgana. Se l’amministrazione di Kabul volesse mettere davvero fine alla guerra e portare la pace nel paese, lo potrebbe fare attraverso la revoca di tutti i trattati militari e di sicurezza stipulati con gli invasori. Ma, se a parole si inneggia alla pace, sul terreno la guerra è cresciuta. E allora questo è prendersi gioco della pace e del popolo”.

27 settembre 2015

A Kunduz, dopo violenti scontri tra le forze collaborazioniste e le milizie talebane, queste ultime, con l’aiuto della popolazione insorta, prendono il controllo delle sedi governative, del carcere, dell’ospedale ed altre infrastrutture civili ed issano la bandiera della liberazione nella piazza centrale. Secondo il governo Ghani la presa di Kunduz da parte talebana è stata accompagnata da uccisioni di collaborazionisti e da punizioni fisiche, quali stupri (questi ultimi confermati da associazioni femminili). Intanto il governo di Kabul annuncia di avere respinto un’offensiva dell’Isis contro le stazioni di polizia nelle province di Nangarhar e Paktika. I morti sarebbero 130, a detta del governo “miliziani dell’Isis”: l’attività dell’aviazione Nato in appoggio alle forze collaborazioniste permette di dubitarne.

28-29 settembre 2015

Immediata scatta la punizione collettiva Usa-Nato contro la popolazione di Kunduz, che causa almeno 200 vittime (ammesse dai comandi) e la fuga di altre centinaia di civili. I bombardamenti ed i combattimenti tra le forze collaborazioniste e le milizie talebane continuano per giorni.

1 ottobre 2015

Presso l’aeroporto di Jalalabad, si schianta un C 130 Nato, causando 15 vittime fra le quali l’intero equipaggio. I Talebani rivendicano il proprio attacco, mentre per il comando Nato “le cause sono da chiarire”.

3 ottobre 2015

I raid Nato si susseguono su Kunduz mietendo ancora distruzione e vittime. Uno di essi colpisce l’ospedale di Msf (Medici senza frontiere), distruggendolo in gran parte e causando la morte immediata di 20 fra operatori sanitari e pazienti, decine di “dispersi” e altre di feriti. Msf denuncia che le coordinate dell’ospedale erano ben note al comando Nato e che “il bombardamento è proseguito per mezzora dalla nostra segnalazione”. Nella successiva inchiesta, l’organizzazione concluderà che il raid è stato compiuto “con il chiaro intento di uccidere” e, per conseguenza, abbandonerà “disgustata” Kunduz. L’amministrazione americana dapprima scarica la responsabilità sulle autorità afgane che “ci hanno chiesto di intervenire ritenendo il luogo un covo di terroristi”, poi cambia versione e porge “scuse e condoglianze” per voce del presidente Obama. Il 19 novembre per altro un raid Usa sulle zone sunnite siriane colpirà un altro ospedale di Msf, presso Damasco.

7 ottobre 2015

Preceduto da indiscrezioni di stampa circa la volontà statunitense di rinviare a tempo indeterminato il promesso “ritiro” nel 2016, il segretario alla Difesa Ashton Carter afferma che “sarà la Nato a prendere gli impegni necessari a garantire la nostra continua presenza nel futuro immediato dell’Afghanistan. Non ci sono dubbi che questo accadrà…”. Immediatamente da Bruxelles il comando Nato “certamente continuerà a sostenere l’Afghanistan /sic/ sia con l’attuale missione Resolute Support, di cui non è stata ancora decisa la durata e l’estensione, sia con il finanziamento alle forze armate afgane”.

15 ottobre 2015

Agli annunci del 7 ottobre segue quello del presidente Barack Obama: “da comandante in capo non posso permettere che l’Afghanistan diventi un rifugio per terroristi”, pertanto il ritiro è “rallentato”: 10.000 soldati (oltre i corpi mercenari) resteranno fin tutto il 2016 , per calare ad “almeno 5.500” dopo tale data, a tempo indeterminato. Secondo il NYT sarebbero attualmente sotto controllo (definito “alta minaccia”), totale o parziale, talebano 27 delle 34 province afgane. Il giornale riporta anche un analogo rapporto dell’Onu, tenuto segreto per oltre un mese, che considerava tale controllo esteso alla metà di esse. Intanto, il conflitto continua. In mattinata i Talebani hanno annunciato la liberazione della zona centrale del distretto di Bala Baluk, mentre hanno sgomberato Kunduz per fermare la furia americana contro la città.

16 ottobre 2015

Il leader russo Vladimir Putin commenta l’annuncio di Barack Obama come “una lampante e diretta testimonianza del totale fallimento della missione militare Usa- Nato, durata ben 14 anni” e per conseguenza annuncia il rafforzamento militare dei confini russi e l’intervento altresì alle frontiere (con l’Afghanistan) turkmena, tagika ed uzbeka, cioè dei paesi alleati con Mosca. Il presidente Ghani ne profitta per chiedere a Putin aiuti militari, ottenendone nell’immediato una fornitura di armamenti leggeri.

26 ottobre 2015

Un violento sisma (7.7 Richter) colpisce Afganistan e Pakistan, con epicentro la regione dell’Hindukush, causando almeno 350 morti, altrettanti feriti ed altre centinaia di senza tetto. I Talebani annunciano una tregua unilaterale nella regione colpita e la cooperazione con i soccorritori. Emergency denuncia invece che “lo stato non è in grado di curare i feriti, perché tutte le corsie sono piene di persone colpite nel conflitto”.

27 ottobre 2015

Ad Herat, si svolge la cerimonia di ammaina bandiera del contingente spagnolo, che si ritira effettivamente dall’Afghanistan. I primi paesi ad aderire invece all’invito americano di mantenere l’occupazione sono, come sempre, Regno Unito ed Italia: il governo della quale ultima ritiene “doveroso” mantenere ed anzi rafforzare il proprio contingente a causa del ritiro spagnolo ed “ottiene il permesso” dagli Usa di armare i suoi droni.

9 novembre 2015

Nella provincia meridionale di Zabul si ha notizia di scontri armati fra milizie talebane e dell’Isis che hanno causato decine di caduti (50 secondo Radio Vaticana, 80 per altre fonti). Seguaci afgani del Califfo hanno fra l’altro giustiziato 7 hazara, cosa che provoca una manifestazione di protesta nella capitale e soprattutto una fuga massiccia di hazara dal paese.

15 novembre 2015

Nella provincia di Nangarhar, colpita dai droni Usa, si ha notizia di diversi eccidi, fra i quali uno di 12 persone, ammesso dai comandi (“terroristi”)

29 novembre 2015

Un accordo Ue- Turchia cerca di fermare la massiccia migrazione dai paesi in guerra, fra i quali l’Afghanistan, attribuendo allo scopo al governo turco 3 miliardi di euro, mentre i paesi dell’est europeo si blindano con muri, recinzioni di filo spinato, cariche della polizia. La greca Lesbo conquista la nomea di “isola dei bambini morti” per il numero di minori affogati e si moltiplicano le atrocità ai danni dei fuggitivi, ad opera degli “accompagnatori” e non solo: il primo ad essere assassinato intenzionalmente è proprio un cittadino afghano, ai confini con la Macedonia. Il 2 dicembre, a Berlino, in una conferenza congiunta con il presidente afgano Ashraf Ghani, il cancelliere Angela Merkel dichiara che i cittadini afgani che riusciranno ad entrare in Germania saranno rispediti nel loro paese.

Novembre 2015

Un’inchiesta di “Washington Post” getta qualche luce sulle strutture paramilitari impiegate dagli occupanti contro la resistenza afgana, nella specie la ‘Forza di protezione di Khost’, formata presumibilmente da uomini della Cia, collaborazionisti, mercenari. Sono indicate 6 recenti operazioni di “rastrellamento” accompagnate da omicidi e varie brutalità, tutte impunite. Alcuni di questi criminali sono stati uditi chiaramente parlare in inglese, talvolta accompagnati da traduttori.

4 dicembre 2015

A Mainan Wardack, un attacco contro una moschea causa 10 morti ed 8 feriti. I media occidentali ed il governo di Kabul accusano un “attacco fondamentalista” ma emerge subito dopo che l’eccidio è dovuto ad un’operazione anti-talebana di Kabul, naturalmente “deplorata” e seguita da “condoglianze” e dalla promessa di Ghani di una “inchiesta”. I Talebani accusano la brutalità dei collaborazionisti contro il popolo. Nella stessa giornata, Kabul afferma di aver liberato 40 suoi uomini imprigionati dai Talebani nel quartiere Nawzad di Helmand.