2. L’IRAQ MODERNO

Le potenze vincitrici progettano dunque un Medio oriente a misura dei loro interessi, fissando arbitrariamente confini e creando entità statuali artificiose, volutamente deboli, precarie, in conflitto reciproco: quindi, nei disegni dei loro creatori, sempre facilmente controllabili; vi trapiantano le istituzioni della democrazia liberale occidentale, frutto di una cultura estranea e di tradizioni politiche del tutto differenti, e perciò vissute come ulteriori strumenti di dominio coloniale; oltre a ciò, Francia e Gran Bretagna favoriscono con ogni mezzo i particolarismi etnici e religiosi, in antitesi con le utopie unitarie, sia panislamiche sia panarabe, che si sono diffuse come reazione alla dissoluzione dell’impero ottomano. Si creano così i presupposti per instabilità, tensioni e conflitti che durano ancora oggi.

L’Iraq è costituito giustapponendo tre province ottomane dalle caratteristiche molto differenti: quella di Mossul a nord, popolata in prevalenza da kurdi, ricca di petrolio, storicamente legata ad Aleppo; quella di Baghdad nel centro, in prevalenza sunnita, che tuttavia comprende anche le città sante sciite di Najaf e Kerbala; quella di Bassora a sud, prevalentemente sciita, affacciata sullo Shatt-al-Arab, rivolta al mare e ai commerci: una eterogeneità etnica, religiosa, economica che non incoraggia la coesione nazionale. Circondato da entità statali ben più grandi e a volte ostili (la storica rivale Persia, l’Arabia del nemico di famiglia Saud, la Turchia), il nuovo regno hascemita è per un decennio sottoposto a mandato britannico della Società delle nazioni.

1930

Un trattato anglo- iracheno sancisce l’indipendenza del paese, concedendo però alla Gran Bretagna le basi aeree di Bassora e Habbaniya. La Gran Bretagna continua a nutrire un interesse particolare per i giacimenti di petrolio e per la strategica posizione geografica dell’Iraq, che rimane saldamente nell’orbita inglese, e continua a seguire una politica filo britannica.

1932

L’Iraq è ammesso alla Società delle Nazioni.

1933

Sale al trono Ghazi I.

1937

E’ stipulato il trattato di Saadabad, per la riconciliazione tra gli stati sunniti (oltre all’Iraq, la Turchia e l’Afghanistan) e l’Iran ( denominazione assunta nel 1935 dalla Persia) sciita.

1939

Faysal II, minorenne, con la reggenza del filo britannico Abdul Ilah, succede al padre Ghazi I.

Nella seconda guerra mondiale l’intero Medio oriente è coinvolto dal 1940, a causa della caduta della Francia e dell’attacco italiano alle truppe inglesi in Egitto, ma la prima operazione rilevante si svolge in Iraq nel 1941. Haj Amin al Husseini, gran muftì di Gerusalemme, dopo lo scoppio in Palestina della guerriglia tra arabi e ebrei nel 1936 si è rifugiato in Iraq, dove ha ottenuto dal governo un consistente appoggio finanziario e dove, sostenuto dai tedeschi e dai nazionalisti panarabi, nel 1941 ha un importante ruolo nel colpo di stato con cui l’ex primo ministro Rashid Alì al Kaylani si impadronisce del potere, tentando di rovesciare la monarchia hascemita e costringendo il reggente alla fuga. Gli inglesi, decisi a non perdere il controllo del paese, giungono in forze nella base di Bassora.

2 maggio 1941

Rashid Alì ordina un attacco, destinato a fallire, contro l’altra base inglese di Habbaniya.

13 maggio 1941

Dopo uno scalo in Siria, giungono in Iraq 30 aerei tedeschi.

19 maggio 1941

Gli inglesi attaccano Falluja, dove sono concentrate le forze irachene, e le sconfiggono, abbattendo anche gli aerei tedeschi.

Mentre le truppe britanniche avanzano su Baghdad, Rashid Alì fugge in Iran con gli ambasciatori italiano e tedesco e il gran muftì di Gerusalemme; il reggente è reintegrato.

Anche se il Foreign office britannico continua, fra il 1941 e il 1945, a far balenare dinanzi ai due sovrani hascemiti di Amman e di Baghdad il miraggio, che già aveva illuso il loro padre Hussein, di una nazione araba unita, l’atteggiamento ondivago e la disinvoltura diplomatica della Gran Bretagna non sono tali da accreditarla presso i nazionalisti arabi, che quasi inevitabilmente ripongono le proprie speranze nell’Asse. Il gran muftì dall’Iran raggiunge la Turchia e quindi Roma, dove con Mussolini conclude un accordo, accettato anche da Hitler, nel quale l’Asse riconosce la sovranità e l’indipendenza dei paesi arabi e promette di eliminare il "focolare nazionale ebraico" in Palestina (che si è già tradotto in attentati e persecuzioni contro i palestinesi: v. Scheda Palestina). Nella speranza di capeggiare, con la vittoria dell’Asse, uno stato arabo unificato, al Husseini cerca di favorire tale vittoria in ogni modo: tentando di costituire una legione araba, arruolando – si dice – mussulmani nell’esercito tedesco dei Balcani, istituendo un servizio segreto, comprendente gruppi di sabotaggio, nei paesi arabi e nordafricani. Alla sconfitta dell’Asse, nel 1945, è catturato dai francesi, ma riesce a fuggire in Egitto, dove partecipa alla fondazione della Lega araba.

Ancora prima del ritiro delle truppe di occupazione francesi e inglesi, il 22 marzo 1945, Egitto, Arabia saudita, Transgiordania, Libano, Siria e Iraq danno vita alla Lega araba; il 10 maggio vi aderirà anche lo Yemen. Nonostante le aspirazioni all’unità, gli stati aderenti non sono immuni da rivalità (ad esempio tra hascemiti e sauditi), aspirazioni difficilmente conciliabili, differenze socioeconomiche: elemento sicuramente unificante appare quasi esclusivamente l’opposizione alla creazione di uno stato ebraico. Nel 1948 la Lega araba (e l’Iraq come parte di essa) affronta il nuovo stato di Israele nella prima di una serie di guerre.

14 maggio 1948

Al compimento del mandato inglese, Ben Gurion proclama senza alcun indugio da Tel Aviv lo stato di Israele.

14-15 maggio 1948

Nella notte stessa le forze della Lega araba invadono la Palestina. Le forze militari arabe sono eterogenee e non coordinate fra loro; nonostante Abdullah di Transgiordania sia formalmente il comandante in capo, ogni esercito prende ordini dal proprio Stato maggiore: l’intenzione è che ognuno di essi occupi una zona prestabilita della Palestina. Ma l’invasione fallisce, lo Tsahal, il nuovo esercito israeliano, prevale.

gennaio 1949

Un armistizio (cui l’Iraq non partecipa direttamente, ma facendosi rappresentare dalla Transgiordania) stabilisce che i belligeranti restino in possesso del territorio controllato al momento della cessazione delle ostilità: Israele entra in possesso di ¾ del territorio che era stato oggetto del mandato britannico, Gerusalemme è divisa in due e il progetto di una amministrazione internazionale sulla medesima è accantonato; lo stato arabo di Palestina non sarebbe più nato, Abdullah annettendo la Cisgiordania al suo emirato diviene re di Giordania, la striscia di Gaza passa sotto amministrazione egiziana, 750.000 arabi (sui 1.500.000 che abitano la Palestina) sono spinti ad abbandonare il territorio israeliano.

Anche negli anni successivi la principale ragione d’esistenza della Lega araba è l’opposizione ad Israele, anche se con armi non più militari ma economiche, soprattutto quella del boicottaggio delle merci israeliane. Nel 1951 la Lega promuove la costituzione di un comitato di esperti in campo petrolifero per effettuare un più efficace coordinamento del boicottaggio nei confronti di Israele, usando il petrolio come arma di pressione nei confronti dei paesi che ne abbisognano.

Nel 1955 l’Iraq, assieme alla Turchia, crea una seria crisi all’interno della Lega araba. Infatti, il 24 febbraio, il primo ministro iracheno Nuri Said e quello turco, Menderes, firmano un patto di mutua difesa militare, il "patto di Baghdad", che nei giorni seguenti vede l’adesione di Pakistan e Iran; aderiscono anche Gran Bretagna e Stati uniti, che, con chiari intenti egemonici e antisovietici, sono i veri artefici del patto. All’interno della Lega araba, alla tradizionale rivalità tra la dinastia saudita e quella hascemita, si sovrappone la frattura tra stati acquiescenti alle mire egemoniche delle potenze occidentali e stati che identificano in esse un nemico. Tra questi ultimi si colloca sicuramente l’Egitto, dopo la rivolta dei liberi ufficiali nel 1952 e soprattutto l’ascesa al potere di Nasser nel 1954; e la Siria, in cui il partito Baath sarà il primo a volgersi con favore verso Nasser. Filo occidentali sono invece Iraq, Giordania, Libano e Arabia saudita, sotto questo profilo uniti dal timore del radicalismo nasseriano.

La scena mediorientale sta cambiando: la campagna del Sinai del 1956 (crisi di Suez- vedi Cronologia generale) dà il destro agli Stati uniti di sostituirsi sostanzialmente alle due vecchie potenze coloniali – Francia e Gran Bretagna, ormai potenze di rango minore – nella regione, divenuta anch’essa teatro dello scontro tra Usa e Urss. Agli stati amici la "dottrina Eisenhower" promette l’aiuto e l’assistenza americana, in funzione antisovietica.

 

18 maggio 1957

Il capo del governo iracheno, Nuri Said, sostiene che l’Iraq è dalla parte dell’Egitto nel contenzioso contro Israele; al tempo stesso accusa l’Unione sovietica di alimentare la tensione nel Medio oriente ed annuncia la messa fuori legge del comunismo nel paese.

5 settembre 1957

Gli Stati uniti rispondono implicitamente a un’offensiva diplomatica sovietica con l’invio urgente e pubblicizzato di armi a Giordania, Turchia, Libano, Iraq, mentre la VI flotta compie vistose manovre presso la costa siriana.

9 novembre 1957

Il primo ministro britannico Harold MacMillan sostiene che la distensione fra i due blocchi non deve essere scartata ma, perché non diventi "acquiescenza, occorre che l’Occidente si rafforzi" da ogni punto di vista. "Non dobbiamo dimenticare –afferma – che i russi sono i migliori giocatori di scacchi del mondo, e questo è un gioco in cui il contendente avveduto non si deve preoccupare più di tanto del tempo che passa, deve sapere che l’avversario escogita sempre nuove mosse ed aperture". Sullo scacchiere mondiale pertanto gli angloamericani pensano che la Nato debba collegarsi ad una "alleanza panamericana, al patto di Baghdad e alla Seato, immaginando una grande alleanza di tutto il mondo libero".

21 gennaio 1958

I dirigenti sovietici lanciano un appello ai paesi arabi ed ai loro capi religiosi: "Basta con le basi atomiche vicine ai luoghi sacri dell’Islam, esse sono un’offesa ai sentimenti religiosi della popolazione", e denunciano la "natura aggressiva e sottomessa ai disegni imperialistici del Patto di Baghdad". Gli Usa cercano di allargare il Patto al Libano ed alla Giordania – afferma il portavoce Leonid Illicev – ma di questo passo "le nazioni del Medio oriente si trovano prese per la gola".

27 gennaio 1958

Alla riunione del Patto di Baghdad in corso ad Ankara, il segretario di Stato americano Foster Dulles promette denaro ed aiuti contro "la seduzione comunista". Critiche ad Israele e alla Francia per i massacri perpetrati in Palestina vengono dall’iracheno Nuri Said e, in toni più forti, dal pakistano Noon che propone la mediazione in Palestina tra le parti in conflitto come obiettivo costante del Patto; proposte subito bloccate dal segretario di Stato americano.

1 febbraio 1958

Egitto e Siria si uniscono costituendo la Rau (Repubblica araba unita), con capitale Il Cairo.

14 febbraio 1958

In risposta alla creazione della Rau, Giordania ed Iraq formano la Unione araba.

La collocazione dell’Iraq nel fronte dei paesi arabi filo occidentali viene meno il 14 luglio 1958, quando un colpo di stato militare nazionalista rovescia la monarchia hascemita. Faysal II e il primo ministro Nuri Said sono uccisi, assume il potere il generale Abdul Kassem, che proclama la repubblica, e successivamente denuncia sia l’Unione con la Giordania che il Patto di Baghdad. Il leader egiziano Nasser, nel timore di reazioni internazionali, si affretta a dichiarare che "un attacco all’Iraq sarà considerato come un attacco alla Rau"; e il 22 luglio, anniversario della rivoluzione del 1952, parlando alla folla esalta la solidarietà tra gli arabi e prospetta l’adesione dell’Iraq alla Rau. I nuovi governi egiziano e iracheno hanno molto in comune: il nazionalismo arabo, la volontà di modernizzazione, il desiderio di indipendenza dai blocchi; tuttavia la rivalità non tarderà a riemergere, anche in forme molto aspre.

Il nuovo regime all’interno gode anche dell’appoggio dei comunisti, mentre emargina la corrente filo nasseriana, il cui capo, Arif, è imprigionato; a livello internazionale ottiene il sostegno sovietico e, nel tempo, concluderà rilevanti accordi commerciali con l’Urss, la Cecoslovacchia, la Germania est, la Jugoslavia; conserva tuttavia (come Nasser) un ideale di indipendenza da entrambi i blocchi, che lo porta ad una identica critica dei patti architettati dall’una o dall’altra superpotenza: "Desideriamo che il risultato della sessione del Consiglio di sicurezza dell’Onu sia l’esclusione del Vicino oriente da tutti i patti…questa è la sola via che porta alla pace. Noi non potremmo che partecipare ad un patto che raccogliesse tutti i popoli del mondo" ha occasione di dire il ministro degli Esteri iracheno Abdul Jabbar Jomard.

L’Italia è uno dei primi stati a riconoscere, il 31 luglio, il governo Kassem: la mossa è stata concordata con Washington dal presidente del Consiglio italiano, Amintore Fanfani, che intende mettersi al riparo dall’opposizione interna del ‘partito americano’. Negli Usa, colti impreparati dagli eventi iracheni, scoppiano aspre polemiche: il senatore Wayne Morse dichiara "Abbiamo perduto la nave" e chiede un’inchiesta sulle inadeguatezze della Cia.

Iniziano presto i tentativi di rovesciare il nuovo regime: già il 12 agosto il generale iracheno Saleh Al Abdi lamenta che "alcuni fantocci imperialisti hanno cominciato a complottare contro la rivoluzione irachena" e il 10 dicembre il generale Kassem afferma di avere sventato un complotto straniero. L’8 marzo 1959, a Mossul, una rivolta filo nasseriana contro Kassem, guidata da Shawaf, è soffocata nel sangue: i ribelli sono trucidati e il corpo di Shawaf rimane esposto sul patibolo. Nasser accusa Kassem di essere uno strumento di Mosca.

Durante il governo di Kassem, a Baghdad, il 14 settembre 1960, i delegati di Iraq, Iran, Arabia saudita e Venezuela fondano l’Opec, l’organizzazione dei paesi esportatori di petrolio destinata ad assumere grande importanza dopo la guerra dei 6 giorni e nel corso degli anni ’70, quando la sua politica di cartello riuscirà a fissare il prezzo del petrolio a livelli convenienti per i propri aderenti, mentre metterà in crisi le economie dei paesi importatori determinandovi inflazione a due cifre e squilibri delle bilance dei pagamenti. Nel 1961 Kassem avanza pretese sul vicino Kuwait, ricchissimo di giacimenti petroliferi, e tenta di invaderlo: ma la costituzione di una forza militare araba di dissuasione vanifica il tentativo iracheno. Nel 1962 l’Iraq deve iniziare a fare i conti con la lunga ribellione dei kurdi che rappresentano il 19% della popolazione, e che, guidati da Mustafa Barzani, chiedono l’autonomia: il conflitto cesserà di fatto solo nel 1970, quando il governo centrale riconoscerà ai kurdi l’autonomia amministrativa.

L’8 febbraio 1963, un colpo di Stato ispirato dall’esercito e dal partito socialista Baath abbatte Abdul Kassem, che è fucilato, e innalza al potere il maresciallo Abd al Salam Arif. Il cambiamento di regime comporta un avvicinamento alla Rau. E proprio il presidente egiziano Nasser, il primo ministro siriano Amin al Afiz e il presidente iracheno Arif approvano, nel corso di un vertice arabo che si tiene al Cairo dal 13 al 16 gennaio 1964, una risoluzione che sancisce la costituzione ufficiale di Al Fatah, diretta da Yasser Arafat. Nel 1965 Abd al Salam Arif resiste a un tentativo di colpo di Stato, ma nel 1966 muore in un incidente aereo: gli succede il fratello, generale Abd al Rahman Arif.

Gli anni successivi sconvolgono di nuovo gli assetti e gli equilibri del Medio oriente. Dopo aver neutralizzato l’aviazione egiziana il 5 giugno 1967, Israele strappa alla Siria le alture del Golan, all’Egitto Gaza e la penisola del Sinai, alla Giordania la Cisgiordania: l’annessione di Gerusalemme, ratificata subito dopo il conflitto, sancisce il trionfo militare israeliano nella "guerra dei 6 giorni". Mentre l’Unione sovietica rompe le relazioni con Israele, gli Stati uniti appoggiano con convinzione l’espansionismo israeliano e, in sede Onu, pongono il veto al progetto di risoluzione sovietica che chiede il ritiro incondizionato dai territori occupati. Il 22 novembre un faticoso compromesso porta alla risoluzione Onu n° 242, che prevede per Israele il ritiro dai territori occupati con la guerra dei 6 giorni, ma obbliga gli arabi a "riconoscere la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza politica di ogni stato della regione e il suo diritto di vivere entro confini sicuri e riconosciuti".

In Iraq, il 17 luglio 1968, un colpo di Stato militare incruento, ispirato dall’ala destra del partito Baath, depone il presidente Arif. Assume la presidenza del Consiglio della rivoluzione Hassan al Bakr, e suo vice è Saddam Hussein. Il nuovo regime, fin dall’inizio guardato con interesse dagli Stati uniti, da una iniziale posizione di alleanza con il partito comunista e di amicizia con l’Urss, allenterà questi legami e riporterà gradualmente l’Iraq nell’orbita occidentale.

Al Bakr pone temporaneamente fine alla rivolta dei kurdi, promulgando il 25 gennaio 1970 un’amnistia per i combattenti e riconoscendo ai kurdi, l’11 marzo dello stesso anno, l’autonomia amministrativa, il diritto all’uso della propria lingua e ad essere considerati una delle due nazioni costitutive dell’Iraq. Ma tra governo e kurdi, guidati da Mustafa Barzani, sussistono disaccordi, sia sulla delimitazione del Kurdistan iracheno, sia sugli effettivi poteri degli organi eletti localmente. I negoziati finiscono per fallire e nel 1974 il governo iracheno decide l’applicazione unilaterale, secondo i propri criteri, dell’autonomia; Barzani allora, spinto dallo scià di Teheran e da un Henry Kissinger allarmato dall’iniziale filosovietismo del regime iracheno, decide di riprendere l’insurrezione; questa però fallisce e viene schiacciata nel 1975, dopo che un accordo siglato ad Algeri tra Iraq e Iran fa venire meno, tra l’altro, l’aiuto iraniano ai kurdi.

Sulla questione palestinese il nuovo governo adotta un linguaggio radicale, esprime appoggio al fronte del rifiuto e, dal 1974, al gruppo di Abu Nidal. L’atteggiamento concreto non è, tuttavia, altrettanto radicale: le truppe irachene di stanza in Giordania, ad esempio, se ne guardano bene dall’intervenire durante il famigerato ‘settembre nero’ del 1970.

L’Italia stabilisce con il governo di al Bakr ottime relazioni, che si traducono anche in particolari rapporti commerciali. Nel febbraio 1978 il governo italiano ratifica un accordo firmato l’anno precedente dal ministro per l’Industria Carlo Donat Cattin e dal numero 2 iracheno Saddam Hussein per la fornitura all’Iraq di 4 laboratori di ricerca e sviluppo nucleare, del valore complessivo di 50 milioni $. La Francia segue l’esempio italiano: in giugno fornisce all’Iraq un reattore atomico, carri armati e Mirage; in aprile 1979, gli agenti del servizio segreto israeliano fanno esplodere a Seyne-sur-mer il nucleo di un reattore, tre giorni prima del suo trasferimento in Iraq.