Libera informazione: teocrazie a confronto (m.m.c. - giugno 2009)

Ascoltiamo in questi giorni lamenti, strilli, cori di cassandre malaugurati verso i cattivi ayatollah di Teheran colpevoli, fra l’altro, di indagare sul tamtam post elettorale organizzato su Twitter, Facebook ecc, tanto da individuarne organizzatori (taluni dei quali in verità poco iraniani) e disinvolte ‘aggiuntine’ : vittorie elettorali scippate, impiccagioni, torture, arresti in massa…Che importa se non è proprio tutto vero, suonano così bene, perché privare gli iraniani della avvincente Soap elaborata a Langley, con aiuto regia di Londra e Tel Aviv? Se l’astuto favorito, Ahmadinejad, si è aggiunto qualche voto, che male fa qualche più consistente ‘crestina’, come la vittoria mediatica (nella realtà inesistente) di Mousavi, amico dell’Occidente, qualche video ‘noir’, frutto di creatività democratica? Ci torneremo a breve, appena la situazione risulterà maggiormente stabilizzata.

Mi preme dire intanto che nel nostro mondo, dove l’informazione sarebbe libera, contraddire quella ufficiale può risultare anche più problematico che in Iran, perfino su fatti lontani nel tempo. E, mentre si rimprovera a quel regime l’idealizzazione della rivoluzione del 1979 (che fa scomparire per esempio la repressione –esistente, anche se da noi è arrivata ingigantita- delle donne restie al velo come ad altre imposizioni), da noi sono tuttora coperti dal silenzio i crimini commessi dai vincitori del conflitto mondiale, autoproclamatisi il Bene vittorioso sul Male. Ci sono voluti sei decenni perché trapelassero, a fatica, le migliaia di vittime civili dello sbarco alleato in Normandia, le donne francesi e tedesche stuprate dai vincitori in segno di disprezzo, le stragi di civili e prigionieri inermi, avvenute ovunque. E quanti sono gli europei informati di quei misfatti alleati? Un volume dello storico Eric Blanrue non trova un editore francese, in Italia Gianfranco Ciriacono ha dovuto autoprodurre e diffondere da sé il suo libro sulle stragi di Biscari e Piano Stella (digita i nomi a fianco nella Storia d’Italia): si parla sempre e soltanto delle stragi naziste, mai di quelle alleate. Non parliamo della strategia della tensione, dove chi ne mette in luce la matrice americana è colpito da censure od anatemi.

Peccato che fra i tanti difensori della informazione libera, anzi creativa, sui fatti di Teheran non vi sia uno a scandalizzarsi per la quasi coeva condanna inflitta all’avvocatessa Sylvia Stolz (3 anni e mezzo di reclusione effettiva, senza condizionale, 5 di sospensione dall’esercizio della professione) per aver semplicemente difeso il suo cliente, Ernest Zuendel, il cui reato consiste nel non credere la versione dei vincitori sullo sterminio degli ebrei e preferire come fonte gli archivi tedeschi, che non ne recano traccia. Se Zuendel, fra gli altri, ha affrontato un lungo calvario giudiziario per un tipico reato di opinione, si è giunti a negare alla radice lo stesso diritto alla difesa, cardine di ogni ordinamento giuridico che possa chiamarsi tale. Quale avvocato vorrà più assumersi, nei paesi dove vigono i reati di opinione, la difesa di un ricercatore revisionista dopo un simile, pesantissimo avvertimento?

Per fortuna la condanna è oggetto di critica in un convegno, annunciato in questi giorni presso il Palazzo di giustizia romano, animato dallo storico Claudio Moffa, che parla di "arrembaggio alla storia e alle libere opinioni", cui relazionano anche i difensori di Sylvia Stolz e di Robert Faurisson, Ludwig Bock ed Eric Delacroix, l’avvocato italiano Nino Marazzita. Il programma prevede l’introduzione del presidente della Corte di Cassazione, Vincenzo Carbone, e la moderazione del presidente dell’Ordine avvocati, Alessandro Cassiani: presenze indicative della gravità della situazione e dei rischi incombenti sul nostro ordinamento. L’interrogativo, direi retorico, del convegno è "verso una nuova Inquisizione?": leggine su www.claudiomoffa.it

Invocare l’Inquisizione è pertinente. Con leggi ad hoc (come la Fabius- Gayssot, in vigore in Francia dal 1990 ed analoghe vigenti in Austria, Germania, Usa, Canada, Australia) o reiterati tentativi di introdurle (è il caso dell’Italia l’anno scorso, ad opera del ministro Mastella, oggi dell’Ungheria, ad opera dei socialisti), ed altresì con interpretazioni estensive di norme vigenti (accuse di antisemitismo, apologia del fascismo, offesa alla pietà dei defunti eccetera), il potere pretende di imporre come obbligatorie le verità dei vincitori, e particolarmente della lobby sionista, sempre più smaniosa di sottomettere gli europei alla propria visione, teocratica e dispotica, del passato e del presente. Si impedisce la ricerca storica libera e la sua diffusione, si delegittimano e si insultano, in modi che vanno oltre la legittima critica, coloro che la intraprendono: fascista! negazionista! antisemita! revisionista! Curioso, quanto indicativo della mentalità sottesa a dette accuse, che siano tacciati di fascismo anche intellettuali di sinistra e cattolici, di antisemitismo gli ebrei che contrastano la strumentalizzazione delle persecuzioni subite, ed altresì come sia diventato un insulto il termine ‘revisionismo’: il quale, indicando la propensione a valutare criticamente la storiografia ufficiale, a non considerare dogma ogni verità del Palazzo, dovrebbe semmai essere un vanto per ogni ricercatore degno di questo nome. Si invoca (e si ottiene) la sospensione dall’insegnamento dei docenti non ortodossi, si giustificano e addirittura s’incoraggiano le spedizioni punitive a suon di spintoni, sputi e ceffoni, com’è accaduto due anni fa a Teramo, nel corso del master "Enrico Mattei in Medio Oriente", a danno di Moffa e del francese Faurisson, poi scortato all’aeroporto dalla polizia politica (leggi le note 17-19 aprile, 17 maggio e 18 maggio 2007 nella Storia d’Italia a fianco; e amplius il citato sito di Moffa).

Un altro, abnorme effetto della descritta repressione, rilevato particolarmente da critici di cultura cristiana (leggine diversi sul sito www.andreacarancini.blogspot.com dove notizie e commenti sui processi in corso) è stato la trasformazione di fatti storici – che tali sono, emozionanti e forti quanto si vuole – in una sorta di dogmi religiosi di obbligatoria osservanza e come tali trasfusi negli ordinamenti giuridici, a dispetto della conclamata laicità degli stessi. Esemplare è stata in questo senso la risposta degli studiosi ortodossi alle pubbliche domande di Faurisson circa la "impossibilità tecnica" delle camere a gas: "Non bisogna chiedersi come ciò sia potuto accadere – hanno replicato- è potuto accadere perché è accaduto". Come per il dogma della Trinità, la verginità di Maria, eccetera, la ricerca e la ragione, che presuppongono argomentazioni logiche ed un libero confronto, deve cedere il posto alla fede. Con il paradosso ulteriore, rilevato dalle stesse voci, che nei paesi europei, dov’è maggioritaria la fede cristiana, è giuridicamente lecito dubitare di tutte le verità della Chiesa, e pure bestemmiare, mentre è obbligatorio credere alla Shoah e partecipare alla sua memoria, nelle scuole ed in altre pubbliche istituzioni: aderire totalmente ed integralmente, alla versione cioè divulgata dal mondo ebraico- sionista. Una fede senza possibilità di defezione.

Conseguenze del dogma religioso- giuridico- politico sono, oltre alle manette, gli inviti all’abiura e le punizioni ‘educative’, incluse quelle corporali (pestaggi e affini). Si noti infine che al reato- peccato di negazionismo si è aggiunto, in specie negli ultimi tempi, un nuovo reato- peccato che si può definire (adopero un gioco di parole del professor Faurisson) di ‘affermazionismo’. Riguarda tutti coloro che denunciano, e magari si indignano per il genocidio palestinese. Fra i casi rilevati di recente si possono citare quello di William Robinson, docente dell’università di California, denunciato dalla potente Anti Defamation League per ‘antisemitismo’, avendo espresso critiche all’assalto dell’esercito israeliano contro Gaza; le minacce di repressione, giudiziaria e fisica, rivolte ai volontari che hanno assistito la popolazione durante lo stesso evento; un ddl avanzato nel maggio da Israel Beitenu, poi varato dal governo Netanyahu, che introduce il reato di commemorazione della Nabka, la Catastrofe palestinese, punito con la reclusione fino a 3 anni per il reo- peccatore (di ritenere vita anche quella degli altri). Si può scommettere che l’Europa si distinguerà in zelo nel seguire Israele in questa nuova ondata di ‘esportazione della democrazia ’.

E invece, così facendo, stiamo scivolando piuttosto in una teocrazia, di ispirazione american-sionista, più rigida e soffocante del regime, di ispirazione islamista, uscito ancora vittorioso dalle urne iraniane. Quest’ultimo difatti non soffoca le libertà religiose, culturali ed associative per tali – ne hanno più volte testimoniato i maggiori esponenti delle comunità ebraiche in quel paese- bensì ne reprime le tendenze ritenute eversive, essenzialmente i tentativi di rovesciare il regime stesso (come fa del resto qualunque altro Stato). Dunque, oltre che per le aggiunte ‘noir’, le persone serie non dovrebbero prendere sul serio il coro petulante di cui si diceva all’inizio, così vistosamente incapace di guardarsi allo specchio.