Afghanistan, e adesso? (marzo 2002)

Il governo Karzai è composto e rappresenta signori della guerra, mafiosi spacciatori di droga, mercenari, "stupratori e assassini" - così le donne ribelli chiamavano i cosiddetti mujahiddin ai tempi del governo Rabbani- che per la gioia dei padroni occidentali oltre che per le loro propensioni naturali si sono abbandonati a massacri indiscriminati, torture ed efferatezze spaventose nella cosiddetta ‘liberazione’ delle città e villaggi afghani: è un governo dunque certamente molto peggiore di quello talebano, che nonostante l’oscurantismo religioso ha avuto almeno i meriti di punire severamente le violenze sessuali, di aver riportato un qualche ordine nel paese già destabilizzato, e soprattutto di non essere un governo fantoccio.

Anche la sorte delle donne afghane appare perciò più preoccupante di prima; del tutto comprensibile invece che esse continuino in grande maggioranza a girare col burqa, deludendo i giornalisti occidentali ansiosi di dimostrare che una qualche ‘liberazione’ è avvenuta con un governo siffatto. Tanto per cominciare, l’obbligatorietà del costume tradizionale fu reintrodotta in Afghanistan da Rabbani e Massud, suo vice, il 28 aprile 1992; e parimenti furono costoro a privare le donne dei posti di lavoro, anni prima dei talebani, come ricordano, ignorate, le donne della Rawa. Così esse descrivono gli anni del governo Rabbani- Massud dal 1992 al 1996: "…quattro anni di caos e atrocità, la pagina più buia della storia dell’Afghanistan. Una sequela ininterrotta di esecuzioni sommarie, saccheggi, stupri, rapimenti, torture, sparizioni di Pashtun e delle minoranze, case bruciate, attacchi mirati ai civili, reclutamenti di bambini sotto i 15 anni, arresti arbitrari, suicidi e aborti volontari. Una pulizia etnica sistematica, unita ad inimmaginabili violazioni dei diritti umani e delle più basilari leggi internazionali". Sostenere quei cosiddetti liberatori "criminali e misogini più dei talebani- ne concludono queste donne- è la catastrofe peggiore che l’Occidente possa recare al popolo afghano". Già: purtroppo ognuno sostiene i propri simili, e i cosiddetti liberatori somigliano troppo ai padroni che li hanno ingaggiati, per poter ipotizzare che simili denunce abbiano un qualche ascolto in occidente. Tornando al famoso costume, la sua ostentazione nei giorni presenti da parte delle donne afghane forse si può leggere, oltre che come attaccamento alla tradizione e timore di violarla, come protezione dai ‘liberatori’ senz’altro, e forse qualcosa di più ancora, come manifestazione di disprezzo verso l’occupatore americano che ha devastato il paese, similmente a come è stato impiegato il chador, ai tempi della rivoluzione iraniana contro lo Scià per esempio. Quale sorte ha riservato, da che mondo è mondo, il colonialismo alle donne e ai loro figli? miseria, morte, prostituzione, turismo sessuale, sfruttamento, nefandezze di ogni genere.

Non pare che un governo appoggiato prevalentemente sui signori della guerra – fra i quali il famigerato Dostum- ed apertamente fantoccio degli americani possa raggiungere una stabilità, al suo interno anzitutto, ed offrirla al paese (questo dipenderà anche dalla ricostruzione, se vi sarà). Un paese in guerra da oltre vent’anni, stremato perciò, ma che sembra avere un orgoglio, una determinazione che noi non conosciamo; un’ostilità consolidata verso le mire straniere, da qualunque parte vengano. E i Talebani? Quanti ne sono stati uccisi, quanti ne restano, su quale appoggio possono contare tuttora? (sempre che vogliano ancora contare, come è parso dalle loro bellicose dichiarazioni e soprattutto dalla strenua resistenza che hanno opposto all’invasione, con armi così impari). Non si può governare con la sola violenza, come pensa l’America. Oltre che prendere i territori, occorre poi dominare gli uomini, conquistare consenso. E in Afghanistan, il consenso pare assai lontano. Si vedrà, già nei prossimi mesi, se Karzai riuscirà ad allargare il controllo del territorio oltre la capitale, oppure no, se riprenderà la guerriglia oppure no. E questo dipenderà certamente dal contesto, dall’azione della Santa Alleanza c.d. antiterrorismo, e dalle risposte che provocherà.