Assalto alla Siria (ottobre 2005)

La mano pesante degli Usa, con la complicità di Israele e della Francia, ha guidato le Nazioni unite, sempre più screditate, nell’assecondare il prossimo attacco di costoro. Il rapporto Mehlis contro la Siria è un castello di sabbia anche più inconsistente di quello costruito contro l’Iraq di Saddam Hussein, tutto basato, secondo le anticipazioni della stampa, su dichiarazioni di ‘esuli’ ed ambigui ‘oppositori’, presumibilmente al soldo di Cia e Mossad, fra i quali spicca un truffatore con notevoli precedenti penali, Zuheir Saddiq, riparato negli anni Novanta in Libano per sfuggire alla condanna che lo aspettava, e quivi divenuto uomo del druso Walid Joumblatt detto ‘il voltagabbana’, sponsor come quest’ultimo di quella ‘rivoluzione democratica’ che consiste nello smembramento del paese e nella sottomissione ad Israele e, guarda il caso, divenuto ricco all’improvviso, per sua stessa ammissione.

La certa mano siriana nella strategia della tensione libanese, che pretende di ravvisare la commissione, è un nonsense, dichiara Mehdi Dakhallah: “Tutti coloro che sono stati uccisi nei misteriosi attentati sono sempre state, in realtà, voci critiche verso Israele, o persone che sostenevano la necessità di buoni rapporti tra noi e il Libano. Ricordiamo gli esponenti della resistenza libanese fatti saltare in aria nei due anni precedenti la strage di san Valentino, l’uccisione di Elie Kobeika, lo stragista di Sabra e Shatilla, alla vigilia della testimonianza contro Sharon, allo stesso Hariri…George Hawi è stato un grande combattente della resistenza contro l’occupazione del Libano e Samir Kassir, pur critico della nostra politica, non ha mai smesso di opporsi all’oppressione israeliana dei palestinesi”. E l’ambasciatore Feisal Mekdahd accusa “un teorema politico senza prove, costruito su testimonianze di ambienti ostili a Damasco”.

Sulla base della fragile impalcatura, viene richiesta alla Siria una “piena collaborazione” consistente niente meno che nella consegna del fratello e del cognato del presidente, il secondo dei quali capo dei servizi segreti, nonché dei rifugiati iracheni, la repressione inoltre della resistenza libanese e palestinese, la rinuncia al Golan a favore di Israele. Si tratta naturalmente di condizioni “impossibili” da adempiere, come osserva sul “Manifesto” Stefano Chiarini, che ricordano l’attività della “vecchia, cara Unscom”, la commissione per il disarmo iracheno “incaricata in realtà di tenere alta la tensione con Baghdad e dare la possibilità ai servizi americani e israeliani che l’avevano infiltrata di destabilizzare dall’interno il regime”. Rileva ancora Chiarini che sullo sfondo vi è “l’ipotesi di uno scambio di tipo coloniale tra un Iraq, spezzettato e diviso, sciita- curdo- Usa e una Siria, anch’essa divisa, non più governata da un presidente alawita (sciita) ma dai fondamentalisti islamici sunniti”, alla condizione che accettino infine la dominazione americana sulla regione. Si può anche più facilmente intravedere il progetto che la Siria, a partire dal Golan già occupato da Israele, sia via via inghiottita dalle rapaci fauci dello Stato ebraico, la ‘povera vittima innocente’ che grida ad ogni occasione alla ‘persecuzione antisemita’ e non si capacita dell’avversione degli arabi, così cattivi e pervicaci da ostinarsi a non farsi fregare terra, risorse e vite a centinaia di migliaia dal ‘popolo eletto’.

 Colpisce del progetto il solito cinismo coloniale, dimostrato dagli alleati occidentali nel conflitto mondiale in due tappe del Novecento, seguito da operazioni di ingegneria geografica ed etnica, smembramenti e creazioni di entità statuali a tavolino, del tutto incuranti delle conseguenze catastrofiche per le popolazioni assoggettate grazie alle proprie armi di distruzione di massa, come il famoso Grande Dittatore che gioca a palla col globo. Personalmente mi colpisce anche il persistere nella finzione, nel tenere in piedi una montatura così mal congegnata e, di più, screditata in anticipo, col super- testimone preso con le mani nel sacco. La stampa americana sta trattando la questione siro- libanese come “una saga familiare”, secondo l’espressione  del commentatore del “Corriere” Guido Olimpio. Si narra ad esempio che Assev Shawfat (il cognato) avrebbe “fatto due volte la tesi di storia perché la prima era stata falsificata o copiata”, dell’assiduo corteggiamento riservato alla figlia di Hafez Assad, quasi fosse un crimine, dell’essere l’uomo in discorso “carismatico, intelligente, pragmatico, molto pericoloso”, e via così per creare la figura del preteso complottatore, avvolto da una nube di mistero. Questo a uso e consumo degli americani che poveretti, senza offesa, sembrano in grande maggioranza incapaci di usare il cervello. Non si tratta, penso, di quoziente intellettivo in sé quanto dall’essere sempre stati frastornati dalla propaganda iper- nazionalista del regime, espropriati dalla decantata democrazia rappresentativa della capacità di pensare in proprio. Vero è che il ‘casus belli’ ha una tradizione millenaria, così come una serie di regole e prassi che sostanziano il diritto e la politica internazionali, ivi comprese le finzioni. Da che mondo è mondo, in ogni tempo e ad ogni latitudine, gli aggressori ricercano peraltro finzioni che abbiano quel tocco di realismo, di ben costruito: e quelle americane, anche come finzioni, sono sempre più insostenibili, anzi demenziali. L’arroganza americana giunge a vedere tutto il mondo come il cortile di casa, abitato da poveri minus habens che non vedono, non sentono, non parlano.