Verso un nuovo bipolarismo? (settembre 2005)

Qualcosa, forse, si muove nella palude profonda nella quale siamo sprofondati in conseguenza della vittoria degli Usa, nel 1989, e la lugubre dittatura dagli stessi instaurata sul pianeta. I segnali positivi non vengono certo da quella parte. Al contrario, gli americani proseguono implacabili nella loro azione stragista in Afghanistan ed in Iraq, dove le città sunnite sono rase al suolo con il complice silenzio dell’Europa, dove si tace l’entità del genocidio con un’operazione negazionista; proseguono nella strategia della tensione consistente nel perpetrare eccidi di civili ed attribuirli alla resistenza;  nell’intento di far esplodere la guerra civile, ottenendo notevoli risultati; e ancora, nella politica del terrore e delle torture; nelle minacce all’indipendenza di altri Stati, particolarmente di Iran, Siria e Libano, ancora con la complicità dell’Europa e di Israele. La quale ultima prosegue identicamente sia nella politica omicidiaria verso la resistenza palestinese, sia nell’intento di limitare alla creazione di un bantustan l’operazione di ritiro da Gaza, prima reale vittoria della stessa resistenza, e di trasformare il nuovo presidente palestinese in un quisling; di più, è proprio la mano del Mossad ad avvelenare lo scenario siro- libanese.

I sassi nello stagno provengono aliunde. Lo scorso mese di agosto, quella che sembrava vista da qui un’alleanza economica, per di più fragile e contraddittoria, ha rivelato un volto più interessante, con le vistose manovre militari congiunte del ‘Patto di Shangai’ – Cina, Russia, repubbliche centro- asiatiche, con la partecipazione di Pakistan, India ed Iran in veste di osservatori più che interessati – cui gli americani non sono stati invitati. Un segnale chiaro di ripresa del controllo politico- militare dei due giganti asiatici sulla regione, accompagnato da una dichiarazione di fine rapporto, per così chiamarla, relativa ad alcune importanti basi militari americane nelle repubbliche caucasiche, più sottomesse a Mosca che a Washington. Un altro segnale è rappresentato dall’atteggiamento, più baldanzoso del passato, tenuto dalle stesse forze in occasione del vertice Onu, con la conseguenza di far segnare il passo alla controriforma americana delle Nazioni unite, che contempla fra l’altro la soppressione del principio di sovranità nazionale, una definizione del terrorismo utile a identificare gli oppositori della dittatura americana, un Segretariato sottomesso che esautorerebbe ulteriormente l’Assemblea.

C’è da fidarsi delle leadership russa e cinese? No davvero. Senza risalire alla famosa piazza Tienanmen, basta ricordare la repressione russa dell’indipendentismo ceceno, stragista al pari di quelle condotte da Washington, tanto da aver decimato un terzo della popolazione, e la repressione cinese dei mussulmani di casa propria. Come peraltro non c’era da far affidamento sulla leadership russa antecedente al 1989, responsabile fra l’altro della occupazione decennale dell’Afghanistan, che ha causato centinaia di migliaia di morti, e di numerose altre efferatezze. Resta il fatto che un bipolarismo è sempre preferibile alla dittatura di un’unica potenza, con la possibilità per i popoli oppressi dall’uno di ricorrere alla protezione, pur pelosa, dell’altro; che la Russia è l’unica potenza ad avere un arsenale atomico in grado di tenere testa a Washington; che Vladimir Putin non è eterno; che il conflitto suscitato dall’espansione occidentale verso est può determinare, e già sta determinando, interessanti contraddizioni, senz’altro preferibili allo scenario spaventoso delle due potenze nucleari unite nell’aggressione del restante mondo, che si è profilato dal 2001 in avanti. Per fortuna (degli altri), gli sciacalli non sanno creare l’armonia neppure con i propri simili.

C’è poi la novità rappresentata dalla vittoria di Ahmadinejad in Iran, per il quale il discorso va oltre le considerazioni appena espresse. Il suo primo discorso all’Onu, con l’offerta rivolta agli altri paesi arabi di condividere la tecnologia nucleare, fin qui monopolizzata dall’Occidente come spada di Damocle sul mondo arabo, e non solo, la chiara rappresentazione della minaccia israeliana sulla intera regione mediorientale, l’indicazione- auspicio della denuclearizzazione della stessa regione e del superamento del regime sionista, la rivendicazione esplicita del principio di sovranità nazionale, la dichiarazione di amicizia agli Stati colpiti dall’espansionismo israelo- americano, insieme alla pacata determinazione con la quale egli si esprime, rivelano un leader di primo piano verso il quale non per caso si sta rivolgendo l’attenzione di tutti: truce e preoccupata da parte del mondo occidentale, benevola o entusiasta da parte degli oppressi da quest’ultimo. Con il consueto rovesciamento delle parti, Ahmadinejad è descritto da noi come un “ultra- conservatore”, mentre ha presentato un programma sociale avanzato a favore dei soggetti deboli, un “falco”, quando ai falchi si oppone, un divoratore di donne, un po’ come i comunisti che mangiavano i bambini, e via così. Gli anticolonialisti, per contro, non possono che rallegrarsi della novità ed augurare lunga vita e attività al giovane e simpatico ‘falco’! a maggior ragione perché il suo percorso appare irto di difficoltà di ogni tipo. E chissà che nel futuro egli riesca ad influire anche sulle politiche di quel Patto di Shangai, che finora amico degli arabi non è stato e, così come si presenta adesso, non appare ancora affidabile come polo alternativo a Washington.