Ritiri veri e finti (maggio 2006)

Ha vinto dunque il centrosinistra accompagnato dalle attese dei suoi elettori, accorsi in massa a votare forse anche perché, quanto ad illusioni e belle speranze, somigliano terribilmente agli affezionati del signor Berlusconi. Restando al tema di questa rubrica, ci sarà un ritiro effettivo dei contingenti militari, una svolta vera nella politica estera, una minore subordinazione all’asse israelo- americano, magari perché a ricoprire il dicastero è stato prescelto Massimo D’Alema, contro il quale la lobby israeliana ha sparato a zero nei mesi della campagna elettorale dandolo per amico degli arabi? Purtroppo questa possibilità è remota anche se – putacaso- venisse effettivamente ritirato il contingente militare dall’Iraq nei termini promessi in campagna elettorale dall’Unione (per la verità, anche dai rivali della CdL).

Prima di tutto, che i predetti spari israeliani contro il ministro in pectore siano di botto cessati e sostituiti da dichiarazioni di stima  – si sta parlando di una forza e di personaggi non abituati a mollare l’osso tanto facilmente – rende sospettosi; il sospetto diventa poi qualcosa di più alla notizia che la prima intervista rilasciata dal nuovo ministro è ad un giornale israeliano, e contiene pesanti rassicurazioni sulla vicinanza dell’Italia ad Israele: il che significa per ciò stesso lontananza dalla causa palestinese. In secondo luogo, permangono tutte le ambiguità insite nella annunciata “missione civile” in Iraq, a cominciare dalla ventilata “protezione militare” della stessa. In terzo luogo, già l’anno scorso, l’ambasciatore americano Ronald Spogli, in un’intervista, aveva affermato che i leader del centrosinistra gli avevano dato ampie assicurazioni sulla continuità nella politica estera, in caso di vittoria elettorale; che un disimpegno degli alleati dall’Iraq era prevedibile, e previsto in ogni caso, e che l’ipotesi discussa con Prodi era di controbilanciarlo con un impegno più forte in Afghanistan: cosa, del resto, accaduta puntualmente per i paesi già disimpegnati dall’Iraq, come Spagna ed Olanda. Interpellato pubblicamente dal segretario del Pdci, Oliviero Diliberto, il leader dell’Unione significativamente non aveva fornito alcuna risposta. Terzo, nel corso della campagna elettorale, sia il centrodestra che il centrosinistra hanno molto insistito sul ritiro dall’Iraq entro l’anno, mentre l’Afghanistan è scomparso dai discorsi e dall’agenda. Alle rare domande dei giornalisti in proposito (sempre con l’eccezione dei Comunisti italiani: il che non ha impedito loro di partecipare a tutti gli effetti alla coalizione di governo) la risposta sbrigativa è stata: “è una questione diversa”.

Diversa? Certo ogni situazione è diversa. Ma i massacri compiuti dalle forze di occupazione contro la resistenza ed i civili non sono diversi – l’ultimo è di questi giorni, presso Kandahar, una carneficina di 80 persone almeno; non sono diverse ma egualmente schifose le prigioni, dove i secondini americani torturano e sequestrano allo stesso modo; non è diversa ma se possibile ancora più forte la subordinazione del governo locale agli occupanti stranieri, fra i quali l’Italia si colloca a tutti gli effetti. E per conseguenza non è diverso l’odio della popolazione; è solo più lontano dai riflettori occidentali.

La richiesta americana è di un impegno maggiore degli alleati Nato in Afghanistan perché il contingente statunitense intende operare prevalentemente nelle zone di confine, nelle quali la resistenza riceve aiuti e supporto. Consiste nell’invio di “forze speciali anti- talebani” – specie di squadroni della morte per sequestrare e probabilmente torturare oppositori politici- ed invio di cacciabombardieri. Sulla seconda richiesta, l’ultima fregnaccia è che gli Amx saranno impiegati “per fotografare i campi di papaveri a bassa quota”. Il che equivale a “soffiarsi il naso con l’aspirapolvere” – è il commento pertinente di un ufficiale a riposo, rilasciato al quotidiano “Il Manifesto” dell’11 marzo- “una barzelletta, una presa per i fondelli. Quegli aerei vanno per effettuare missioni di combattimento”. Già, naturalmente. Ma se, putacaso, col loro 2,4% i Comunisti di Diliberto (gli unici a porre almeno il problema in termini pertinenti) riuscissero a bloccarne l’invio, si dirà che è stata una vittoria pacifista mandare solo gli squadroni della morte, pudicamente denominati “forze speciali”? Che siamo una “missione diversa”, accanto agli americani che ammazzano e torturano a più non posso, secondo il loro costume?

E, difatti, il primo atto ufficiale di Romano Prodi, il 9 maggio, è stata la visita a villa Taverna, sede dell’ambasciata americana a Roma, dove ha incontrato il vice segretario di Stato Kurt Volker; il quale ultimo non ha mancato di ribadire le assicurazioni ricevute sulla “continuità” della politica estera e che “il governo entrante e quello uscente dicono cose molto simili”.

Si dirà che non bisogna essere sempre pessimisti; che è già una bella notizia non essere più rappresentati nel mondo da Silvio Berlusconi o Gianfranco Fini e che Massimo D’Alema, almeno, è un uomo intelligente. Francamente però, leggendo le truci notizie dei soprusi perpetrati dal colonialismo americano nel mondo, a me non basta. Soprattutto non basta alle vittime della carneficina di Kandahar, delle tante altre perpetrate in Afghanistan ed in Iraq, non basta ai palestinesi, soggetti da mezzo secolo alla politica di assassinio e rapina di un regime spaventoso, quale quello sionista, del quale ci è imposta giocoforza l’amicizia.