Unipolarismo. Un po’ di storia (aprile 2002)

Per capire come si muove l’imperialismo americano – e occidentale- occorre riflettere sulla mutevolezza della identificazione del ‘mostro’ di turno secondo la propensione dei personaggi e delle forze a schierarsi in senso filo americano o antiamericano, filo occidentale o antioccidentale: molti mostri sono divenuti tali per l’occidente, pur non avendo subito alcuna metamorfosi su altri aspetti, nel momento in cui hanno maturato la seconda opzione, mentre nella loro fase filo occidentale non erano considerati tali: dall’italiano Mussolini all’americano Noriega, dall’iracheno Saddam al saudita Bin Laden agli ‘studenti di teologia’, l’oppressivo governo talebano impiantato in larga parte dell’Afganistan, dal Pakistan con l’avallo e la benedizione degli Usa. Ai tempi non lontani in cui questo accadeva, gli studenti coranici erano sponsorizzati come bravi ragazzi, un po’ rigidi ma rispettosi dei costumi accettati dal popolo e assai più moderati dei mostri iraniani, mozzatori di teste e torturatori di donne: le immagini che giravano allora erano esattamente le stesse che sono state ostentate in questi mesi ai popoli smemorati dell’occidente per sollevare moti di orrore verso i talebani, con l’inversione dei soggetti ovviamente. Ciò che di spaventoso accade alle donne in Arabia saudita o in Iran non è cambiato di una virgola, è solo accuratamente censurato per spacciare la frittella che le opzioni filo occidentali dei governi comportano il rispetto dei diritti umani.

Se rivolgiamo lo sguardo al passato, a partire dalla seconda guerra mondiale il cui esito ha partorito l’assetto imperante, possiamo osservare la stessa mutevolezza che c’è oggi nella individuazione del nemico e nelle alleanze che hanno composto e scomposto gli schieramenti, per motivi non già ideologici ma più piatti e concreti. Il regime fascista italiano nacque filo atlantico, Mussolini fu un beniamino del democratico Churchill e fu la frustrazione del suo progetto espansionistico da parte degli inglesi, più che ragioni ideologiche, a indurlo a schierarsi con la Germania hitleriana: solo allora divenendo agli occhi degli angloamericani il mostro cattivo che prima non era. Nel 1943, la spinta della borghesia italiana e degli apparati militari in senso filo atlantico mutò lo schieramento dell’Italia e rovesciò Mussolini, di nuovo non per un motivo ideologico ma per un calcolo realistico delle probabilità di vittoria e, per la prima, anche per interessi di bottega. Per la previsione cioè che le libertà economiche offerte da un regime all’americana avrebbero offerto più pingui guadagni di quelli consentiti da uno Stato accentratore e ripagato il costo delle libertà sindacali, del resto concesse con avarizia ed intrighi a non finire per minare l’unità sindacale. Si pensi alla mafia, per fare un esempio vistoso, ridotta dallo Stato forte fascista ai minimi termini e rimessa in piedi dagli americani, già dallo sbarco in Sicilia, che sarebbe diventata in pochi anni struttura portante del sistema economico - finanziario italiano; ai progetti mussoliniani di cogestione delle imprese che, per quanto moderati fossero, riuscirono indigesti ai capitalisti italiani (vedi la nostra cronologia storica).

Andando oltre l’Italia, possiamo osservare analoga mutevolezza –e parallelamente analoga ininfluenza delle questioni ideologiche- nello schieramento della Francia che, lanciatasi per prima nel conflitto contro Hitler, fu in seguito sul punto di schierarsi al suo fianco, col regime di Vichy il cui capo, maresciallo Pétain, godette di forte consenso tra i francesi. Nell’inverno 39-40, quando l’Urss attaccò la Finlandia, la Francia si scoprì antisovietica e concepì piani per soccorrere i finlandesi e financo per attaccare i giacimenti petroliferi del Caucaso con raid aerei. La Polonia, primo oggetto del contendere fra gli Alleati e la Germania (perché la difesa della sua integrità territoriale coincideva con l’assetto imposto dai vincitori del primo conflitto mondiale), fu infine sacrificata dai primi all’Unione sovietica, per la determinanza di quest’ultima nel conflitto. Lo schieramento polacco fu determinato anch’esso da motivi diversi da quelli ideologici: al contrario, il regime polacco somigliava maggiormente a quello hitleriano che a quello delle democrazie e le simpatie avrebbero continuato forse ad essere orientate in quella direzione se non si fosse posta la questione dell’integrità territoriale. I popoli vittima delle aggressioni coloniali dell’Africa del nord, così come quelli dell’Insulindia, i palestinesi, gli iracheni, i malesi guardavano anch’essi con maggiore simpatia –o minore antipatia- all’Asse e particolarmente l’offensiva giapponese creò un risveglio di lotte nazionalistiche ed anti coloniali. L’Unione sovietica a sua volta, inizialmente legata alla Germania da quella che gli storici hanno definito una "benevola neutralità", successivamente cambiò il proprio schieramento anch’essa perché e quando fu attaccata. Si pensi ancora allo scarso ardore reciproco che caratterizzò il suo rapporto con gli Alleati, che la abbandonarono all’offensiva della Werhmacht sperando nel logoramento di entrambe. Churchill in particolare fu a lungo indeciso se il male peggiore per l’Inghilterra fosse la disfatta dell’Armata rossa o un nuovo accordo fra la Germania e l’Urss; la quale ultima fu l’unico Stato dell’Alleanza a non beneficiare della legge americana ‘affitti e prestiti’, cioè degli aiuti militari e materiali stanziati dagli Usa, col pretesto delle distanze geografiche. Ancora una volta, nello scarso ardore, l’ideologia c’entra poco: si pensi a come Stalin lasciò che gli inglesi annientassero i comunisti greci, in virtù di un tacito accordo con Churchill.

L’alleanza angloamericana con l’Unione sovietica non fu dunque, come ancora oggi si dice, originata dalla necessità di fare blocco per le ‘forze del Bene’ contro l’ ‘impero del Male’ rappresentato dai fascismi, ma un calcolo di opportunità: per fermare i concorrenti nazifascisti che ambivano, come gli Alleati, al controllo dell'Eurasia, l’America si servì dell’Unione sovietica e delle resistenze, compresa la rossa, per poi passare subito dopo a servirsi dei nazifascisti passati a servire il nuovo padrone, per sistemare l’Unione sovietica e i rossi, nella lunga guerra fredda; come del resto si servì dei cattolici per entrambi gli scopi, della mafia, di dittature create ad hoc e liquidate quando non servivano più: vedi Papadopoulos, Pinochet, e diversi altri.

In Italia, caduto Mussolini ad opera del Gran consiglio e quindi dei suoi, sarebbe stato possibile avanzare in alternativa una scelta di neutralità - che si poteva realizzare in ipotesi, offrendo l’armistizio ad entrambi gli schieramenti belligeranti a condizione del rispetto del territorio italiano- suscettibile magari di risparmiare al nostro paese l’occupazione tedesca, che derivò prevalentemente dai comportamenti demenziali di Badoglio: non è un caso che la storiografia antifascista preferisca glissarli, e far partire la storia dell’Italia democratica dal 25 aprile 1945. Si poteva evitare dunque, probabilmente, la continuazione del conflitto che avvenne in termini devastanti, la stessa guerra civile. Certo, prospettare un’alternativa non significava vincere, dato che la borghesia italiana premeva per continuare la guerra a fianco degli Alleati; comunque, nessuna delle forze popolari nemmeno provò a contrastare la tendenza emergente, prospettando la pace come terza via possibile al popolo stanco del conflitto, perché tutte egualmente ansiose di inserirsi nel nuovo estabilishment.

La versione della guerra come vittoria liberatrice dal mostro nazista però regge tuttora, i revival commemorativi imperversano, i film sulla liberazione anche, tornati non per caso di moda. Niente di male per sé: peccato però che i mostri fossero almeno due; e che, mentre si continua ad evocare il defunto sepolto 58 anni fa, di liberazione dal mostro vivente e più che mai imperversante non molti parlano in occidente, in specie in Italia.

A conflitto quasi ultimato, con l’Europa oramai piegata, Hitler morto suicida da mesi, i giapponesi determinati alle trattative di resa, il messaggio terroristico del vincitore è stato realizzato con le bombe nucleari su Hiroshima e Nagasaki, luoghi abitati prevalentemente da vecchietti, bimbi, donne che non potevano certo costituire un obiettivo militare. Il messaggio è stato assolutamente efficace e tutti lo hanno capito nel loro esatto significato: ecco signori che cosa succederà a chi oserà sfidare nuovamente il nuovo Grande Dittatore, che aveva scalzato il vecchio. Decine di migliaia di morti! Lo capì bene, il messaggio, anche il principale destinatario, Stalin, che mobilitò tutte le risorse dell’Urss nel riarmo, per dotarla di ordigni nucleari parimenti micidiali, in grado di tenere testa agli Usa, e al tempo stesso fu così realista da servirsene a scopo prevalentemente dissuasivo e non valicare i confini di Yalta. Checché si voglia pensare di Stalin sotto qualunque altro aspetto –anche malissimo- occorre riconoscergli di avere in questo modo evitato l’olocausto russo: fra tutti il più agognato dagli Usa, che prevedeva decine di milioni di morti, e non fu possibile agli sceriffi americani realizzare con i vari progetti ‘Broiler’, ‘Frittura’. Digitateli sulla nostra cronologia, si tratta di fatti che occorre necessariamente ricordare, per capire il presente.