STRAGI E STRATEGIE AUTORITARIE

 

Luigi Cipriani, Alla conquista del Psi dal 1976 al governo Craxi, in Democrazia proletaria n.4/1985

" De Martino godeva ancora nel partito di un forte consenso. Al primo passo falso di Craxi sarebbe potuto tornare facilmente alla segreteria: era necessario, per questo, convincerlo a ritirarsi dalla vita politica. Nel 1977, poco prima del congresso di Torino, un gruppo di malavitosi napoletani legati alla camorra rapì suo figlio.. "

Il piano di rinascita riconosceva la necessità di puntare su uno schieramento di partiti -Psi, Dc, Pri, Psdi, Pli - in una ipotesi di governo che recuperasse la crisi della Dc. Per fare ciò si rendeva necessario lo sganciamento del Psi dalla prospettiva dell'alternativa di sinistra, di cui era fautore allora, per portarlo alla collaborazione con la Dc. Occorreva anche un cambio di cavallo, sia alla direzione del Psi che al governo, auspicato dallo stesso Gelli nell'intervista al Corriere del 1980, là dove affermava che la presidenza del Consiglio doveva andare a un socialista e quella della repubblica a un democristiano. Segretario del Psi nel 1976 era Francesco De Martino, leader storico del partito, assertore dell'apertura verso il Pci e per questo di ostacolo al piano di rinascita.

Nel Psi la massoneria ha sempre avuto una presenza storica il cui orientamento è stato generalmente democratico, ma nel 1976 successero fatti inquietanti. Il segretario della federazione del Psi di Firenze, Lorenzo Ferracci, con una lettera al presidente della commissione di controllo Sandro Menchinelli, denunciò la massiccia infiltrazione di massoni nel partito. Responsabile dell'infiltrazione viene individuato il gran maestro di palazzo Giustiniani Lino Salvini che in quei tempi era accusato dai massoni democratici Colao e Siniscalchi di essere il protettore di Gelli e della P2. Era stato inquisito per il golpe Borghese, per l'assassinio Occorsio e per l'Italicus ed aveva ricevuto dal giudice Catalani una comunicazione giudiziaria per truffa.

In realtà il gran maestro era ricattato da Gelli il quale aveva scoperto che egli gestiva un traffico di armi e di materiale elettronico che passava per il porto di Livorno. A gestire il traffico a Livorno vi era anche Alessandro Del Bene, massone P2, spedizioniere, presidente del tribunale massonico e grande elettore del Psi in Toscana. Infatti Del Bene era collegato ad Andrea Von Bergher, segretario regionale del Psi e massone come Lelio Lagorio e Ugo Zilletti, ed al presidente della provincia di Firenze Renato Righi, iscritto alla P2. Lino Salvini, ora deceduto, venne rinviato alla commissione di controllo che non ne fece nulla. Anzi in quegli anni proseguirà massiccia l'infiltrazione della P2 nel Psi: due ministri (Mariotti e Manca), il capogruppo alla Camera (poi presidente della Commissione affari costituzionali Silvano Labriola) verranno reclutati, oltre ad una grande quantità di amministratori. In Liguria ciò avvenne tramite il clan di Teardo (presidente della regione) legato al ministro De Michelis.

Nel 1976 il Psi aveva subito un forte rovescio elettorale, il segretario De Martino venne messo sotto accusa per la sua subalternità al Pci e andò in minoranza nella famosa riunione all'hotel Midas. Craxi Bettino, capo della corrente autonomista, allievo prediletto di Nenni divenne il nuovo segretario del Psi. De Martino però godeva ancora nel partito di un forte consenso, dell'appoggio di Lombardi e del Pci. Al primo passo falso di Craxi sarebbe potuto tornare facilmente alla segreteria. Era necessario per questo convincerlo a ritirarsi dalla vita politica. Nel 1977, poco prima del congresso di Torino del Psi, un gruppo di malavitosi napoletani legati alla camorra rapì il figlio di De Martino chiedendo un riscatto che, molto probabilmente, fu pagato da Calvi (P2). Oggi sappiamo che la P2 ed il Sismi tenevano legami diretti, tramite Carboni e Pazienza, con la camorra e le bande criminali di Bergamelli, Turatello e Vallanzasca. De Martino, interrogato dalla commissione P2, ha più volte fatto capire che il rilascio di suo figlio ha avuto come contropartita la sua rinuncia a tornare ad assumere il ruolo dirigente nel Psi. Egli ha affermato infatti: "il rapimento di mio figlio ha avuto lo stesso significato politico dell'assassinio dell'onorevole Moro". Il significato di questa frase, pur esplicita, si comprenderà meglio quando analizzeremo il caso Moro. Fatto sta che da allora De Martino, pur rimanendo deputato, ha rinunciato a rappresentare l'alternativa nel Psi a Bettino Craxi.

Gli amici di Craxi, nel 1977, partirono all'assalto del partito. Durante i congressi preparatori di quello nazionale della primavera 78 i vecchi gruppi dirigenti vennero disintegrati, l'83% dei segretari di federazione sostituiti. Prima del congresso, però, i craxiani riuscirono a controllare solo il 35% del partito, gli ex lombardiani guidati da Signorile erano pure al 35% mentre Enrico Manca tentò di emergere mettendosi alla testa degli ex demartiniani in profonda crisi, acquisendo il 25%. Sul finire del 1977 si aprì uno scontro durissimo tra Manca e Craxi che si attenuò dopo la iscrizione alla P2 di Manca.

Nella primavera 78, alleandosi con Signorile su una linea di accordo concorrenziale con la Dc e di antagonismo nei confronti del Pci, Craxi riuscì a conquistare il 70% del partito. De Martino e Mancini, nettamente sconfitti, decisero di sciogliere la loro componente lasciando il compito dell'opposizione al solo Michele Achilli, col 5%. La P2 attaccò anche quest'ultimo: nel 1975 fece uscire dai malavitosi che controllava e dai carabinieri la voce, immediatamente ripresa dal Corriere della sera, secondo la quale Achilli era a capo dell'anonima che aveva sequestrato e ucciso Cristina Mazzotti.

Vinto il congresso, Craxi pensò immediatamente a dislocare in tutti i punti di potere i propri fedelissimi: dalle federazioni maggiori, ai parlamentari, alla stampa di partito, nei centri culturali, fra gli intellettuali gli uomini di Craxi si insediarono mettendo da parte gli stessi alleati guidati da Signorile. Dopo il congresso, nel luglio 78, l'elezione di Pertini a presidente della repubblica (ricordiamo che avanzammo per primi quella candidatura) rappresentò un grosso intoppo per i sostenitori del piano di rinascita. Tolto di mezzo Moro questi ultimi pensavano di procedere sul velluto, ma il conflitto d'interessi politici fra Dc e Psi favorì alla fine l'imprevedibile elezione di Pertini, che Craxi aveva fatto di tutto per ostacolare.

Nel 1978 un altro personaggio della P2, il petroliere Bruno Musselli, dedicò le proprie attenzioni a Craxi regalandogli un'auto blindata. Più tardi si scoprirà che era a capo della cordata nella truffa dei petroli che, a partire dal 1974 e coinvolgendo il comandante della Guardia di finanza Raffaele Del Giudice, aveva rubato al fisco centinaia di miliardi. Musselli, grazie agli auspici del Psi, fu nominato da Allende console cileno a Milano e potè godere per i propri traffici dell'immunità diplomatica. Anche Umberto Ortolani guardava con attenzione al Psi, al quale peraltro era stato iscritto: braccio destro di Gelli, gentiluomo di camera dapprima del cardinale Lercaro poi di Paolo VI, cavaliere di spada dello Smom (sovrano militare ordine di Malta) in compagnia di Giulio Andreotti. In quei tempi Ortolani era entrato nel consiglio di amministrazione della Rizzoli-Corriere della sera in rappresentanza dei veri proprietari (Vaticano, Banco ambrosiano, P2). Sarà una coincidenza ma, proprio in quel periodo, il Corriere ed i settimanali della Rizzoli iniziarono a dedicare intere pagine e servizi a Bettino, ai suoi attributi virili e al fedele scudiero Claudio Martelli, compagno di liceo di Rizzoli (P2). A sua volta Roberto Calvi, attraverso la Rizzoli e l'Ambrosiano, elargì copiosi finanziamenti al Psi che tuttora non risultano restituiti. Fu certamente per riconoscenza che Bettino, da solo, si levò in parlamento per difendere la memoria di Calvi quando, più tardi, ne verrà trovato il cadavere sotto il ponte dei Frati neri a Londra.

Dopo il congresso Craxi diede inizio alla revisione ideologica del Psi col famoso saggio su Proudhon, pubblicato su L'Espresso del 27 agosto 1978. E nel sindacato il Psi puntò a marcare la propria differenza, organizzando rigidamente i socialisti di Cgil, Cisl e Uil. Si parlò anche della costituzione del sindacato dei socialisti come arma di ricatto nei confronti della Cgil. Come indicato dal piano di rinascita, Craxi diede un colpo anche all'anima anticlericale del Psi, lanciando un ponte verso il Vaticano: il 20 settembre 78, anniversario della breccia di porta Pia, l'Avanti! uscì con un editoriale dedicato alla necessità di un nuovo concordato tra stato e chiesa. A scriverlo era stato il vaticanista Margiotta Broglio, ma a firmarlo fu Bettino in persona.

Nel 1979 però Andreotti e Craxi continuano a litigare scambiandosi colpi bassi, mettendo in crisi il progetto di alleanza auspicato dal piano. Il primo tentativo di costituire un governo a guida socialista con primo ministro Craxi fallì per l'opposizione di Andreotti il quale preferì dare vita a un monocolore Dc. Contemporaneamente veniva coagulandosi nel Psi un ampio fronte, da Signorile e Mancini ad Aniasi che si contrapponeva alla gestione autoritaria del partito da parte di Craxi. Vi era in sostanza il rischio per Gelli che nella Dc e nel Psi, grazie a Andreotti e Signorile, si riformassero maggioranze favorevoli all'unità nazionale in vista dei congressi dei rispettivi partiti che si sarebbero tenuti nel 1980.

 

Il caso Eni-Petromin

" Per ammissione dello stesso Craxi, nel dicembre 1979, Gelli lo incontrò e molto probabilmente lo mise al corrente di essere in grado di offrirgli la testa di Signorile, ma anche di tagliare quella di Martelli e la sua "

Nell'aprile-maggio 1979 Andreotti (divenuto, dopo la morte di Moro, il maggior esponente del "partito arabo" in Italia) ottenne dal governo saudita una grande fornitura di petrolio a prezzi notevolmente più bassi di quelli di mercato (18 dollari contro 25). Caratteristica dell'accordo era che il contratto avrebbe dovuto riguardare direttamente i rispettivi enti di stato, Eni per l'Italia e Petromin per l'Arabia saudita, escludendo le multinazionali e qualsiasi mediazione dei privati. Nel giugno 79 il contratto venne firmato e le forniture avrebbero potuto iniziare immediatamente. Improvvisamente, senza che se ne fosse parlato in precedenza, dagli ambienti Eni si fece sapere che erano sorte difficoltà da parte araba. In sostanza, si disse da parte araba, si pretende una tangente enorme -del 7%- che, sul totale della fornitura, avrebbe corrisposto a 110 miliardi dell'epoca. In realtà la tangente era tutta italiana e doveva offrire la possibilità a chi ne fosse entrato in possesso di portare a compimento il progetto di controllo sull'informazione previsto dal piano di rinascita. Infatti, contemporaneamente all'operazione Eni-Petromin, era in corso il patto di spartizione della stampa italiana tra la P2 e il gruppo Scalfari-Caracciolo che avrebbe dovuto riguardare la Rizzoli-Corriere, il gruppo Monti (Nazione e Resto del Carlino), Il Messaggero, Il Mattino eccetera. Cerchiamo allora di capire chi c'era dietro l'operazione tangente.

Andreotti come al solito non agì in prima persona ma un suo fedelissimo, Carlo Sarchi, democristiano responsabile per l'estero dell'Eni, fu il primo ad informare il presidente dell'Eni dell'improvvisa richiesta di tangente. Sarchi è anche l'unico ad avere visto personalmente il misterioso mediatore arabo: infatti il 25 giugno 1979 egli si recò a Parigi per incontrarlo, definendo le modalità di versamento della tangente ad una misteriosa finanziaria panamense, la Sophilan. In effetti non vi era nessun arabo ma un certo signor Egger di Ginevra della banca svizzera Pictat che entrerà nel giro di riciclaggio delle tangenti pagate dall'Agip.

Assieme ad Andreotti si mise in movimento il solito gruppo di personaggi legati al Vaticano e alla P2, come Umberto Ortolani, impegnato con Calvi a coprire i debiti della Rizzoli e il colonnello Giovannone, agente del Sismi distaccato in Medioriente: entrambi legati ad Andreotti per via dell'Ordine dei cavalieri di Malta. Altri piduisti vennero implicati nella vicenda: il ministro del commercio estero Stammati e i suoi segretari Davoli e Battista i quali autorizzarono illegalmente l'uscita della prima parte della tangente, anticipata ad una banca estera dell'Agip, la International egiptien oil company, alla Sophilan su garanzia della Tradeinvest dell'Eni. Vi era anche Francesco Malfatti, vecchio massone passato alla P2 nel luglio 1979 il quale, nella sua qualità di segretario alla Farnesina, pilotava l'ambasciatore italiano Alberto Solera. E poi Florio Fiorini, direttore finanziario dell'Agip che anticipò la tangente, anch'egli P2; il giornalista Giorgio Zicari, ritenuto legato al Sid e citato negli atti della inchiesta sulla strage di piazza Fontana (come persona informata dei fatti, ndr), anch'egli iscrittosi alla P2 e che entrerà nella vicenda per difendere gli interessi del suo nuovo padrone Attilio Monti.

Alleati di Andreotti erano personaggi legati alla sinistra socialista di Claudio Signorile come Giorgio Mazzanti, presidente dell'Eni (che Gelli iscriverà alla P2 il 30 novembre 1979) e Gioacchino Albanese, piduista ex braccio destro di Cefis, passato all'Agip su indicazione di Signorile. Il presidente dell'Eni Mazzanti fu complice di Carlo Sarchi nell'appoggiare la richiesta di tangente e mentì spudoratamente affermando che la Sophilan (la società panamense che avrebbe dovuto incassarla) era una notissima società di brockeraggio internazionale, mentre risultò completamente sconosciuta.

Anche Claudio Martelli, delfino di Craxi, tentò di inserirsi nella spartizione della tangente mandando avanti Ferdinando Mach, presidente di società del Psi, assieme ad altri due finanzieri, Carlo Cilia e Riccardo Raciti, entrambi rappresentanti del ministro del petrolio saudita Jamani in Italia. Cilia e Raciti a quanto pare vennero messi alla porta da Mazzanti, suscitando le ire di Craxi il quale cominciò a manifestare il dubbio che la tangente Eni-Petromin fosse destinata a politici italiani per finanziare losche operazioni. Già al momento della nomina di Mazzanti a presidente dell'Eni, voluta da Signorile e Andreotti, Craxi si era duramente opposto preferendo Leonardo Di Donna, iscritto da Gelli alla P2 quando lo scandalo della tangente esplose (1 gennaio 1980): nominato all'Eni dal Psi, manteneva contatti stretti anche con la Dc e il Pci tramite il senatore Margheri. Di Donna era anche amministratore della società Acqua marcia, già del Vaticano e di Sindona, successivamente controllata dalla Montedison, dall'Eni, dalla Banca nazionale del lavoro e dalla Banca nazionale dell'agricoltura, nelle quali il Psi è presente in forze.

I due direttori finanziari dell'Eni Di Donna e Fiorini erano strettamente legati a Formica, a quei tempi amministratore del Psi e lo informarono dell'esistenza e della destinazione della tangente. Formica, resosi conto di essere stato tagliato fuori dall'operazione si scatenò, accusando pubblicamente Mazzanti e Ortolani di avere orchestrato l'operazione per impadronirsi dei quotidiani della Rizzoli e di Monti. Formica costrinse Craxi ad uscire allo scoperto e questi chiese a sua volta la destituzione di Mazzanti: cosa che avverrà col governo Cossiga, succeduto ad Andreotti.

L'affare Eni-Petromin quindi saltò e gli arabi interruppero le forniture di greggio all'Italia. Della tangente risultò pagata una prima parte dei 7 miliardi, affluiti alla Sophilan. Ma chi si nascondesse dietro di essa non fu scoperto. La famosa società di brockeraggio internazionale risultò essere una società con titoli al portatore, senza alcuna attività, acquistata da tre dipendenti dell'avvocato ginevrino Charles Poucet, ex consigliere della banca di Sindona Finabank, avvocato del consolato italiano e di Gelli quando questi fu incarcerato in Svizzera. La Sophilan (che nominalmente assomiglia ad un'altra società finanziaria, la Sophinim, di proprietà del Psi ed amministrata da Ferdinando Mach) venne acquistata dalla banca Pictet la quale, assieme ad altre banche svizzere come l'Ubs, ebbe il compito di riciclare le tangenti verso il nostro paese. In sostanza, anche intorno alla Sophilan, ruota il solito ambiente massone piduista, internazionale e nostrano.

Gran regista di tutta l'operazione per conto di Andreotti fu Licio Gelli -avendo gli uomini P2 piazzati nei punti chiave- che verrà trovato in possesso dei diari del ministro Stammati e degli appunti riguardanti tutta la vicenda Eni-Petromin. Tra le carte di Gelli venne anche trovato il numero di un conto segreto presso la Ubs (Unione banche svizzere) n.633369 detto Protezione, del 20 ottobre 1980 destinato a Claudio Martelli. L'opposizione dell'Eni e il segreto bancario svizzero oppugnato da una sua finanziaria estera, la Foradop, impedirono di accertare l'autenticità del documento in possesso di Gelli. Il nome di Martelli era emerso anche in occasione di una tangente, pagata dal direttore finanziario dell'Agip Fiorini, per l'acquisto di uranio dal Canada, per via dell'Ultrafin di Calvi.

In ogni caso il duo Gelli-Andreotti era in grado di condizionare tutti i protagonisti della vicenda Eni-Petromin, molti dei quali si iscrissero alla P2. Per ammissione dello stesso Craxi, nel dicembre 1979, Gelli lo incontrò e molto probabilmente lo mise al corrente di essere in grado di offrirgli la testa di Signorile, ma anche di tagliare quella di Martelli e la sua. Dalla vicenda Eni-Petromin Signorile uscì distrutto e svanì ogni possibilità di opposizione a Craxi in occasione del congresso del Psi. Anche i ricatti di Formica fecero effetto. Egli passò da semplice amministratore del Psi a ministro dei trasporti.

Anche Leonardo Di Donna ebbe il suo premio. Qualche anno più tardi un ex dirigente dell'ufficio legale dell'Eni, Luigi Giordano, dichiarò alla Commissione parlamentare che la parte rimanente della tangente di 3,5 milioni di dollari, dopo un giro nelle banche svizzere, era finita in Austria presso la società Montana del finanziere Karl Kahane. Strana coincidenza, Kahane fu uno degli ultimi a vedere Calvi vivo: cenarono insieme il 9 giugno 1981 nella foresteria dell'Ambrosiano insieme al finanziere parigino Pierre Moussa, Francesco Micheli e Florio Fiorini. Era in corso la trattativa per l'acquisto della parte estera dell'Ambrosiano. Tornando alla tangente, essa sarebbe passata dalla Montana alla Sidit, una finanziaria di Florio Fiorini, per acquistare azioni dell'Acqua marcia della quale Di Donna era divenuto il socio di maggioranza.

La Commissione parlamentare dispose la perquisizione della Sidit da parte della Guardia di finanza. Purtroppo la sera prima dell'ispezione le porte della Sidit, sita in Roma in via Emanuele Gianturco, vennero sfondate, cassetti e raccoglitori di documenti sparsi sul terreno: non una lira venne toccata. La Guardia di finanza non trovò nulla d'interessante, ormai i documenti erano spariti. E c'è ancora chi afferma che i servizi segreti italiani sono inefficienti.

 

Il caso Eni-Monti, duemila miliardi rubati

" Un personaggio si presentò da Leonardo Di Donna per ricordare, a lui e al Psi, l'impegno di fare acquisire le raffinerie in perdita del suo padrone all'Eni. In caso contrario.."

Il caso Eni-Petromin ebbe un seguito riguardante i debiti del petroliere Attilio Monti, massone, in passato indicato come finanziatore di gruppi neofascisti implicati nella strage di piazza Fontana. Un personaggio nei primi mesi del 1980 si presentò da Leonardo Di Donna per ricordare, a lui e al Psi, l'impegno di fare acquisire le raffinerie in perdita del suo padrone all'Eni. In caso contrario, mostrando una lettera della banca Pictet, egli avrebbe rivelato i nomi dei destinatari italiani della tangente pagata alla Sophilau. Di Donna ha sempre dichiarato di aver respinto il ricatto del personaggio, fatto sta che scavalcando il consiglio di amministrazione dell'Eni assunse l'impegno di acquisire i debiti di Monti.

Il 29 luglio 1980 il presidente dell'Eni succeduto a Mazzanti, il dc Alberto Grandi e Di Donna, vicepresidente sostenuto da Craxi, con un colpo di mano misero la giunta esecutiva dell'Eni di fronte al fatto compiuto, comunicando che l'ente di stato aveva acquisito il controllo della Sarom finanziaria del cavalier Monti: il quale sarebbe rimasto proprietario del gruppo editoriale, della Nazione e del Resto del Carlino. L'attuale ministro del tesoro Goria, ai tempi semplice deputato dc, si oppose all'accordo affermando che con l'acquisto delle società di Monti l'Eni si sarebbe accollata 750 miliardi di debiti (400 verso il sistema bancario e 350 verso i fornitori). Qualora l'Eni non fosse intervenuta, Monti sarebbe finito in galera per bancarotta fraudolenta. Inoltre l'Eni, per coprire i debiti a breve, fu costretta a sborsare immediatamente 200 miliardi e ad emettere 400 miliardi di obbligazioni a scadenza in quattordici anni a tassi elevati. Dai calcoli prudenziali di Goria il costo medio per l'Eni sarebbe stato di 35 miliardi all'anno per quattordici anni, cioè 490 miliardi. Leonardo Di Donna e Alberto Grandi difesero strenuamente l'operazione Monti; anzi più tardi, nel 1980, affermarono che l'Eni avrebbe acquistato anche la raffineria Sarom di Ravenna, rimasta a Monti perché allora non indebitata.

Artefice il ministro delle partecipazioni statali di allora, il socialista De Michelis, l'operazione Eni-Monti andò in porto e Di Donna si guadagnò la fiducia di Craxi il quale si battè strenuamente per farlo nominare presidente dell'Eni, malgrado la sua comparsa nelle liste della P2. Recentemente l'Eni ha dichiarato di voler chiudere anche l'ultima raffineria dell'ex impero Monti, la Sarom di Ravenna, licenziando centinaia di lavoratori. A tutt'oggi possiamo quindi calcolare che il costo complessivo dell'operazione Monti sia stato di oltre 1500 miliardi. Fatto ancor più sorprendente fu che l'Eni rinunciò a rivalersi nei confronti di Monti che, disfattosi dei debiti, si godeva i cespiti delle vendite di immobili e titoli dell'Eridania per almeno 150 miliardi puliti nel 1981. Liquidi che il cavalier Attilio impegnò per aumentare il controllo dei suoi due quotidiani ai quali aggiunse più recentemente il Piccolo di Trieste, sino a tentare la scalata al gruppo Rizzoli-Corriere.

Il Psi e la Dc chiedono ora al cavalier Attilio di saldare il conto spartendosi i suoi gioielli, la Nazione e il Carlino. Spartizione che Monti ha fatto in modo provocatorio, cercando di richiamare in servizio quattro ex direttori tutti piduisti, suscitando le reazioni dei giornalisti. Fallita la nomina di Ciuni alla Nazione, molto probabilmente la spartizione andrà ora in porto senza suscitare clamori, se non si mette sotto accusa il ruolo del Psi e della Dc nella gestione dell'Eni. Come scrive l'Espresso del 10 marzo 1985: " Se il cavalier Monti vuole fare un favore alla Dc -è quel che dicono a piazza del Gesù- deve darci il Carlino di Bologna e non la Nazione di Firenze. E' a Bologna che un giornale amico della Dc può essere utile per mettere alle corde l'amministrazione del Pci. Il desiderio della Dc puntualmente si avvera. A dirigere la Nazione viene chiamato Tino Neirotti, un giornalista di simpatie laiche (Psi) con una lunga esperienza alla Stampa di Agnelli e attualmente direttore del Carlino. Il posto che Neirotti lascia libero a Bologna viene subito destinato a Franco Cangini, le cui simpatie sono invece decisamente orientate verso la Dc e il mondo cattolico".

L'Espresso conferma che dietro la provocazione piduista del cavalier Monti è passata la spartizione, con particolare riguardo alla Dc per Bologna e per il Psi a Firenze, città nella quale Craxi e Lagorio puntano al sindacato socialista. Il medesimo numero dell'Espresso rende noto che l'operazione dovrebbe concludersi con lo sbarco di Monti al Mattino di Napoli. Scrive infatti: "Doveva essere proprio Monti nei piani di De Mita a rilevare il 51% dell'Edime (società che gestisce il Mattino) della nuova Rizzoli. E la Dc che, attraverso la società Affidavit, possiede l'altro 49% avrebbe continuato a dominare il quotidiano napoletano". La Dc, pur essendo socio di minoranza, ha infatti il diritto di nominare il direttore del Mattino che De Mita ha da pochi giorni destinato al suo fedelissimo Pasquale Nonno. Per Monti l'operazione dovrebbe essere facilitata da un contributo del banco di Napoli, il quale è il vero proprietario del Mattino e si trova ad anticipare i soldi (16 miliardi) per far uscire la Rizzoli dall'Edime, per conto di Monti e della Dc.

 

Il caso Eni-Banco ambrosiano

" I titoli di Calvi vennero fatti crollare da massicce vendite da parte delle banche dell'Iri. Velocissimi, il ministro del tesoro Andreatta e la Banca d'Italia dichiararono l'insolvenza dell'Ambrosiano che costrinse la Consob ad interrompere le proprie indagini.. Conclusosi nel modo che sappiamo il capitolo Calvi fu possibile, con la regia di Cuccia, passare alla spartizione delle sue spoglie.."

Il direttore finanziario dell'Eni Di Donna godeva di autonomia pressocché assoluta nei confronti del presidente e del consiglio di amministrazione. Ciò gli dava la possibilità di gestire migliaia di miliardi, attraverso le finanziarie e le banche dell'Eni, autorizzate ad operare estero su estero. Con le sue finanziarie, la Tradeinvest, la Hydrocarbons international holding di Lussemburgo, la International egiptian oil company e numerose piccole banche, l'Eni opera in tutti i paradisi bancari, Panama, Antille, isole Caiman, Bahamas, Bermude, Zurigo e Lussemburgo. Lo stesso Di Donna e Florio Fiorini furono accusati di essersi costituiti abbondanti patrimoni personali a scapito dei fondi neri dell'Eni. Abbiamo già accennato al fatto che Di Donna è diventato socio maggioritario dell'Acqua Marcia mentre Fiorini viene indicato come proprietario della Bank F.Handel Esskten di Zurigo. Lo stesso Fiorini fu accusato di aver costituito assieme ad altri dirigenti internazionali dell'Eni la Marina marchant bank che, strana coincidenza, aveva come personale quello di una banca dell'Eni, la Banque de placements s.a. di Ginevra, allo scopo di operare finanziariamente estero su estero.

Nel periodo 1978-1980 l'Eni, tramite la Tradeinvest-Hydrocarbons, portò a termine con le consociate estere del Banco ambrosiano cinque contratti che comportarono una esposizione di 250 miliardi, andati perduti per l'ente di stato. Ma le operazioni finanziarie Eni-Banco ambrosiano furono molto più numerose e dietro di esse vi era il traffico delle armi verso i regimi di destra sudamericani, nei quali gli uomini della P2 erano direttamente coinvolti. Nel periodo indicato Calvi e la P2 erano fortemente impegnati nei ripianamento dei debiti della Rizzoli e nella spartizione della stampa col gruppo Caracciolo-Scalfari, operazioni alle quali il Psi non era certamente estraneo. Del resto va ricordato che l'addetto stampa di Craxi, Vanni Misticò, era iscritto alla P2 e quindi manteneva i contatti con tutto il mondo dell'informazione legato alla loggia, compreso Silvio Berlusconi. Ma le attività del duo Fiorini-Di Donna per conto dei loro protettori politici, Piccoli e Craxi, attorno all'Eni e al Banco ambrosiano non erano ancora finite.

Dopo la morte di Roberto Calvi (giugno 1982) Fiorini avanzò una proposta di acquisto del Banco da parte dell'Eni, senza neanche metterne al corrente il nuovo presidente Galdolfi il quale, arrabbiatissimo, lo licenziò. Perno dell'operazione avrebbe dovuto essere ancora una volta la società Acqua marcia, di area socialista, nella quale il consigliere delegato Franco La Rosa era del Psi e consigliere di amministrazione Leonardo Di Donna. Secondo Fiorini, l'Acqua marcia avrebbe dovuto deliberare un aumento di capitale al quale si sarebbero dovuti associare l'Eni, la banca del Vaticano (Ior), Carlo Pesenti e Orazio Bagnasco: quest'ultimo reduce da una disastrosa avventura nel Banco ambrosiano per conto del Psi, al fine di entrare alla Rizzoli-Corriere, che gli era costata 70 miliardi di perdita. Coi capitali raccolti l'Acqua marcia avrebbe dovuto acquisire il controllo della finanziaria di Calvi, la Centrale, nella cui cassaforte stava il Corriere della sera. Infine, con un altro aumento di capitale, la Centrale avrebbe dovuto acquisire il controllo del Banco ambrosiano. Ma il piano Fiorini, maldestro per i personaggi che chiamava in causa e costoso, dovette essere accantonato e Psi e Dc attendere tempi migliori per spartirsi le spoglie di Roberto Calvi.

Come sappiamo Calvi, prima di essere assassinato, era finito in galera per esportazione illecita di capitali e, per trovarsi fuori dai guai, chiamò in causa più volte il Psi rammentando il prestito, pressocché a fondo perduto, che gli aveva assicurato. Lo stesso Craxi, di fronte alla Commissione P2, ha affermato che la moglie di Calvi lo incontrò -auspice quel Francesco Pazienza di cui molto si parla- per chiedergli di fare scarcerare il marito. Nella stessa occasione Craxi dimostrò di conoscere la situazione dei rapporti di Calvi col duo Pazienza-Carboni, infatti affermò: "Il Calvi era nella P2 e nel sistema massonico; quando la P2 si è dissolta e lui era in difficoltà, anche per il controllo del Corriere, ha cercato di ricostituirsi una rete protettiva analoga alla P2 sempre in ambito massonico. Così si circondò di personaggi come Pazienza e Carboni". Craxi prosegue: "Come nasce questo Pazienza che Calvi paga profumatamente? Pazienza è messo lì perché devo ritenere che il servizio segreto e la P2 mettono attorno a Calvi un uomo di fiducia". Questo Pazienza era un agente free lance accreditato in Usa presso ambienti internazionali massonici. Craxi mostra quindi di conoscere molto bene i rapporti di Calvi con la P2 e l'agente Pazienza.

Le pressioni diedero i loro frutti, Roberto Calvi fu scarcerato e potè tornare nel suo ufficio di presidente dell'Ambrosiano ma il suo destino era, per così dire, già segnato. Il ministero del tesoro e la Banca d'Italia conoscevano da anni le malefatte di Calvi (nel 1972 il senatore Merzagora scrisse al governatore della Banca d'Italia per informarlo e nel 1978 un'ispezione della banca centrale mise in luce un possibile crak da mille miliardi e ne informò Guido Carli) ma non erano mai intervenuti. Nel 1982 la Consob, alla cui testa era il bocconiano Guido Rossi, costrinse Calvi a quotare in borsa i titoli della Centrale e del Banco ambrosiano perché ciò le avrebbe consentito di controllarne i bilanci. I titoli di Calvi vennero fatti crollare da massicce vendite da parte delle banche dell'Iri, al punto che se ne dovettero sospendere le quotazioni. Velocissimi, il ministro del tesoro Andreatta e la Banca d'Italia decisero di intervenire dichiarando l'insolvenza dell'Ambrosiano, siamo al crak da duemila miliardi. La dichiarazione di insolvenza costrinse la Consob ad interrompere le proprie indagini e Guido Rossi, per protesta, diede le dimissioni. Per Andreatta era indispensabile bloccare l'indagine di Rossi perché essa avrebbe dimostrato che, attraverso una sfilza di società di comodo site nei paradisi bancari, il proprietario del Banco e del Corriere non era Calvi ma lo Ior del Vaticano.

Conclusosi nel modo che sappiamo il capitolo Calvi fu possibile passare alla spartizione delle sue spoglie, gran regista ancora una volta Cuccia presidente della Mediobanca. Il nuovo Banco ambrosiano e la Centrale vennero spartiti fra banchieri di area Psi come Nerio Nesi (Bnl), di area cattolica dc emergente, Bazzoli (San Paolo di Brescia) e di area dc Schlezinger (banca Popolare di Milano). Come al solito, la polpa venne riservata ad Agnelli che acquisì le assicurazioni Toro e più tardi metterà le mani sulla Rizzoli in buona parte risanata, Bettino Craxi sarà ampiamente premiato perché, con l'arrivo del nuovo direttore Ostellino, il Corriere assumerà toni marcatamente filo Psi.

Per concludere il capitolo dei rapporti Eni-Psi vogliamo citare l'episodio di cui fu protagonista il ministro delle partecipazioni statali Gianni De Michelis. Per ingraziarsi gli americani, fece sottoscrivere all'Eni un accordo con una compagnia petrolifera Usa, la Occidental. Nell'accordo gli americani portarono come dote quattro miniere di carbone, pagate dall'Eni a prezzo da amatore, con denaro liquido. Dopo pochi mesi la Occidental decise di rompere l'accordo (una clausola lo prevedeva) e le miniere rimasero sul gobbo all'Eni. Centinaia di miliardi andati perduti, perché i costi di estrazione in queste miniere sono doppi di quelli delle miniere Usa a cielo aperto e quindi l'Enel si rifiuta di acquistare il carbone per le proprie centrali elettriche. Un altro prezzo pagato per far entrare Craxi nelle simpatie di Reagan.

 

Dai congressi del 1981 al primo governo Psi

" A partire dagli auspici del piano di rinascita, attorno al Psi e a Craxi si è andata costruendo una rete di ricatti e di protezioni.. Nel congresso Dc emerse come leader Forlani: presidente del Consiglio quando furono scoperte le liste della P2, tentò per mesi di tenerle nel cassetto.. "

Ma torniamo al 1980, epoca dei congressi della Dc e del Psi, della strage alla stazione di Bologna e dei trentacinque giorni di lotta alla Fiat. Come abbiamo visto, a partire dagli auspici del piano di rinascita, attorno al Psi e a Craxi in particolare si è andata costruendo una rete di ricatti e protezioni che lo portarono ad affrontare il congresso del 1980 da padrone del partito, ma prigioniero della Dc. Nel congresso della Dc, tenutosi prima di quello socialista e dopo l'assassinio di Moro, la destra ebbe il sopravvento e Forlani, sostenitore di posizioni filoreaganiane e dell'alleanza strategica col Psi, emerse come nuovo leader, rompendo con le vecchie tutele di Fanfani.

Arnaldo Forlani, più volte indicato come iscritto alla massoneria e gran protetto dal suo concittadino cardinal Palazzini, capo dell'Opus dei, era presidente del Consiglio quando furono scoperte le liste della P2, per mesi tentò di tenerle nel cassetto. Costretto per questo a dare le dimissioni, Forlani da tempo doveva essere al corrente dei misfatti della P2 perché nel 1975, quando era ministro della difesa, ricevette un rapporto dal generale Rossetti del Sid, infiltrato nella loggia di Gelli. Il generale Rossetti, ex partigiano nelle divisioni Garibaldi, informò Forlani che la P2, al centro di tutte le stragi, era infiltrata da militari e fascisti ed aveva rapporti stretti con Andreotti e Ortolani per via dei Cavalieri di Malta. Anche in quel caso Forlani tenne il rapporto chiuso nel cassetto. Medesima sorte subirono i rapporti che nello stesso periodo il capo dell'antiterrorismo Santillo inviava sulle attività di Licio Gelli. La vittoria di Forlani al congresso della Dc pose le basi per il trionfo di Craxi nel congresso del Psi a Palermo.

Craxi era riuscito a spostare la linea politica del Psi dall'alternativa all'alternanza, fino al pentapartito con alleanza strategica verso la Dc. Sul piano economico e sociale il Psi, pur inneggiando al riformismo, approvò nel congresso tematiche reaganiane e neoliberiste. Ma su tutto dominò il tema della grande riforma istituzionale nel nome della governabilità, tratta pari pari dal piano di rinascita democratica. Persino i temi del militarismo e del nuovo ruolo internazionale dell'Italia nel Mediterraneo vennero recuperati e fu con un ministro della difesa come Lagorio che la spesa per armamenti italiani prese a salire a ritmo che neanche i ministri democristiani si erano mai permessi. La conquista del Psi era ormai un fatto compiuto. Nel 1983, dopo che Reagan si era insediato alla Casa bianca, con il consenso del grande fratello Usa, Bettino Craxi si insediò a capo del governo.

Il resto è cronaca dei nostri giorni, come le benemerenze che Craxi è andato a raccogliere dall'imperatore Usa nel marzo di quest'anno. Altre benemerenze le aveva raccolte da un altro protagonista di questa vicenda: il Vaticano. Il segretario di un partito con un passato anticlericale e anticoncordatario ha avuto l'onore di portare a termine il nuovo concordato che garantisce alla chiesa romana vantaggi maggiori di quelli concessi da Mussolini. Ma anche questo era previsto dal piano, come pure era previsto il riciclaggio dei voti del Msi. Ultima annotazione. Bettino si insediò al governo nel medesimo giorno in cui un pericoloso testimone veniva fatto fuggire dal carcere svizzero evitando l'estradizione: Licio Gelli. La rete protettiva stesa attorno a Craxi continua a funzionare: per quanto tempo ancora?

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